Nel lessico della storia dell’arte il termine ‘cartone’ indica un disegno tracciato su un supporto cartaceo, in genere in bianco e nero, di dimensioni variabili. Ma non uno schizzo, e neppure un disegno autonomo, piuttosto uno strumento di lavoro intermedio da cui sviluppare un dipinto. Sua prima caratteristica è quella di essere in scala 1:1 rispetto all’opera finale, perché il disegno dovrà essere trasferito su un supporto definitivo delle stesse dimensioni. Inoltre, pur contemplando la possibilità di apportare qualche modifica al progetto d’origine, un cartone si presenta con un grado di elaborazione generale e di dettaglio prossimo a quello definitivo.
Esistono cartoni per dipinti su tavola, celebri sono quelli di Leonardo per Sant’Anna e la Vergine o per il ritratto della marchesa di Mantova Isabella d’Este, mai realizzato; o quelli di Raffaello per gli arazzi della Cappella Sistina, colorati per servire da guida ai tessitori. Ma più frequenti sono i cartoni creati per essere trasferiti su muri da affrescare, secondo due procedimenti principali: l’incisione indiretta, che prevede che si insista sulle linee del disegno con uno strumento appuntito per lasciare sull’intonaco una traccia incisa; il cosiddetto spolvero, che richiede che si perforino le linee del disegno e poi, fatto aderire il cartone al muro, lo si tamponi con un sacchetto di polvere, la quale, infiltrandosi nei fori, lascia sulla parete una traccia di puntini corrispondenti al disegno d’origine.
La Pinacoteca Ambrosiana di Milano conserva uno dei più prestigiosi cartoni del Rinascimento, quello della Scuola di Atene affrescata da Raffaello sulle pareti della Stanza della Segnatura nei Palazzi Vaticani. >> Il cartone “navigabile” del museo ambrosianoCartone raro per le dimensioni eccezionali, innanzitutto, e per l’uso singolare che ne fu fatto: i fori che lo percorrono servirono in realtà a ottenere un secondo esemplare destinato allo spolvero, preservando così l’originale cui fin da subito si riconobbe grande prestigio. Basta d’altronde osservarne la vitalità del segno, (realizzato con carboncino e biacca, un pigmento bianco a base di piombo, usato per indicare le luci), la potenza del chiaroscuro e la ricchezza dei dettagli per capire che il cartone non fu solo uno strumento per trasporre meccanicamente l’idea dell’affresco.
La sua storia recente inizia un secolo dopo la sua creazione, avvenuta intorno al 1508: tra il 1610 e il 1626 i Visconti di Brebbia Borromeo prima prestarono e poi vendettero al fondatore dell’Ambrosiana, il cardinale Federico Borromeo, l’opera allora divisa in due parti. Requisito nel 1796 dai commissari francesi di Napoleone, il cartone fu restaurato a Parigi: i circa 220 fogli che lo componevano furono ricongiunti con qualche sfasatura che rese necessario ripassare alcuni dettagli. Tornato a Milano nel 1816, dopo il Congresso di Vienna, lasciò l’Ambrosiana per due volte in occasione dei conflitti mondiali. Il restauro attuale, ultimato nel 2019 dopo un anno di analisi scientifiche e tre di lavori, ha comportato la pulitura del supporto, il distacco della tela applicata a fine Settecento a Parigi, una nuova foderatura con carta giapponese e tela sintetica che impediranno attacchi biologici. La teca del nuovo allestimento realizzato dallo Studio Boeri comporta il vetro più grande d’Europa. >> L’allestimento della Sala del Cartone di Raffaello
Che cosa rappresenta, dunque, il cartone della Scuola di Atene? È il disegno preparatorio, a grandezza naturale, della porzione principale del grande affresco che illustra la parete della Stanza della Segnatura (10 x 8 m ca.), affrescata da Raffaello tra 1508 e 1511 nei Palazzi Vaticani per volere di papa Giulio II Della Rovere, il committente della volta Sistina. >> L’affresco della Scuola di Atene
La sala deve il suo nome attuale alla funzione rivestita dal 1540, quando fu sede del supremo tribunale ecclesiastico “della Segnatura apostolica ”: priva di camino, in origine fungeva probabilmente da biblioteca. >> La Stanza della Segnatura con il dettaglio dei diversi affreschi
Ciò spiega il tema degli affreschi, relativi a quattro discipline del sapere: Teologia, Filosofia, Poesia e Giustizia, rappresentate sulla volta da personificazioni femminili identificate da iscrizioni latine e accompagnate da storie esemplari. Così la Teologia, la “Comunicazione delle realtà divine”, è illustrata da Adamo e Eva nell’Eden; la Giustizia, “Diritto che dà a ciascuno ciò che gli spetta”, dal Giudizio di Salomone; la Filosofia, “Conoscenza delle cause”, dal Primo Moto o Astronomia; la Poesia, “Ispirata dal dio”, da Apollo e Marsia, immagine della vittoria dell’armonia divina sulle passioni terrestri.
Sulle pareti sottostanti, quattro composizioni esemplificano lo sforzo dell’Uomo per conquistare il Vero, il Bello e il Buono. Raffaello si lascia alle spalle la tradizione iconografica che allineava in sequenze immobili gli uomini illustri di ogni disciplina. Dipinge invece quattro historiae monumentali, azioni grandiose e semplici espresse con linguaggio di nobile retorica ma pianamente intellegibile, i cui personaggi solenni traducono concetti dottrinari in azioni drammatiche e moti sentimentali.
Il Trionfo dell’Eucaristia e della Chiesa, noto come Disputa del sacramento, celebra la verità rivelata, il Vero teologico: il centro prospettico e tematico è dunque l’ostensorio sull’altare, venerato dalla Trinità, dalla Chiesa trionfante dei santi e da quella militante di chi ha esaltato il miracolo dell’Incarnazione con l’attività intellettuale. Il Parnaso raffigura Apollo circondato dalle nove muse e da diciotto poeti antichi e moderni, da Omero a Ariosto. Sulla parete opposta, tre Virtù cardinali, Prudenza, Forza e Temperanza, sono governate dalla quarta sorella, la Giustizia, virtù suprema riassunta nelle sillogi di diritto civile ed ecclesiastico. Infine, la Scuola d’Atene (titolo in uso dal primo Seicento), raffigura i protagonisti del pensiero filosofico dalle origini, nel VI secolo a.C., all’età imperiale. Per questo il Tempio in cui si muovono – assente nel cartone – è incompiuto, come incompiuta è la ricerca razionale del Vero. Le statue di Apollo e Minerva alludono al dominio dell’intelletto sulle passioni brutali raffigurate nei rilievi.
Al centro, Platone e Aristotele, titani del pensiero filosofico greco, sono attorniati da cinquantasei personaggi distribuiti su due registri secondo la posizione occupata rispetto alle dottrine dei due filosofi maggiori: in alto la metafisica, in basso aritmetica, geometria, astronomia e musica. A sinistra di Platone, i filosofi a lui precedenti, presocratici, orfici, pitagorici e socratici. A destra di Aristotele, i filosofi e scienziati d’età ellenistica e imperiale.
Platone (428/427-347 a.C.) regge il Timeo, il suo dialogo più letto, e punta il dito verso il mondo sovrasensibile delle idee. Aristotele (384/383-322 a.C.) regge l’Etica a Nicomaco e aprendo la mano verso terra indica la necessità dell’indagine scientifica su natura ed esperienza. Ma forse il gesto è meno antitetico a quello di Platone di quanto creduto: lo sguardo di Aristotele è fisso infatti sulla mano levata di Platone, a suggerire che occorre partire dalla realtà fenomenica per giungere a quella sovrasensibile.
A sinistra, Socrate (470/469-399 a.C.), i tratti del volto come Sileno, discute coi giovani, tra i quali il bell’Alcibiade armato. I suoi seguaci cacciano i sofisti (V secolo a.C.), rivenditori interessati di idee e di libri. In basso, coronato di pampini, il poeta Orfeo sorregge un libro sulla base di una colonna, suggerendo con questo che tutta la filosofia greca sorge sulle fondamenta del pensiero orfico, che nell’uomo contrapponeva una parte mortale ad una immortale, attribuendo alla discendenza da Dioniso l’aspirazione umana al bene. I suoi tratti corrispondono a quelli di Tommaso “Fedra” Inghirami, bibliotecario del Vaticano, nel quale alcuni identificano l’erudito consigliere che affiancò Raffaello nel definire il programma iconografico della Stanza.
Gli stanno accanto i presocratici legati all’orfismo: Pitagora (seconda metà del VI sec. a.C.), seduto in primo piano, per il quale la realtà e i fenomeni naturali si traducono in termini matematici e l’anima immortale trasmigra nei corpi. Lo affianca un discepolo vestito di bianco, simbolo dell’ideale della kalokagathía (bellezza e bontà): in chi ricerca il Vero, il Buono e il Bello, la bellezza esteriore riflette la perfezione interiore. Il filosofo in piedi, con il libro aperto, potrebbe essere secondo Giovanni Reale Empedocle di Agrigento (seconda metà del V secolo a.C.), che diede nuovo risalto alla teoria della trasmigrazione delle anime delle dottrine orfico-pitagoriche. Isolato sulle scale, per rappresentare la sua rinuncia ad ogni bene e la riduzione alle necessità fisiche essenziali, è Diogene il Cinico (IV sec. a.C).
A destra, circondato da quattro allievi, misura col compasso Euclide (330-277 ca. a.C.), i cui Elementi gettarono le basi della scienza geometrica: già Vasari lo indicava come un ritratto di Bramante. L’astronomo codificatore del geocentrismo, Tolomeo (II sec. d.C.), incoronato perché confuso con un re d’Egitto, regge il globo terrestre, Zoroastro (VII-VI sec. a.C.) quello celeste.
Assente dal cartone è invece il “pensieroso” Eraclito di Efeso (VI-V sec. a.C.), che rielaborò le dottrine orfiche: il filosofo ha i tratti fisionomici (e gli stivali!) di Michelangelo, e sia nella possanza volumetrica che nella torsione del corpo rivela l’impressione su Raffaello delle figure dipinte dal maestro sulla volta della Sistina, scoperta per la prima volta nell’agosto del 1511. All’estrema destra dell’affresco si osservano, infine, due altre figure assenti nel cartone, Raffaello e l’amico Sodoma (che impostò la volta della Stanza). Firma visiva, ma anche rivendicazione della pittura quale scienza capace di contribuire all’indagine e alla rivelazione del Vero.
Manifesto della cultura rinascimentale, impegnata a conciliare in una visione grandiosa la cultura cristiana e quella classica, passato e presente, il magnifico affresco celebra la fiducia umanistica nella forza del pensiero razionale e in un’arte capace di tradurre i massimi temi del pensiero occidentale con il linguaggio del simbolo, ma in forme naturalistiche lucidamente intellegibili. O meglio, nelle parole di Vasari, Raffaello «fu alla composizione delle storie così facile e pronto che gareggiava con l’efficacia della parola scritta».
Per le informazioni qui sintetizzate e per approfondire la conoscenza sia del cartone sia dell’affresco, si potranno consultare i seguenti testi:Giovanni Reale, Raffaello: la Scuola di Atene: una nuova interpretazione dell'affresco, con il cartone a fronte, Milano, Rusconi, 1997.
Alberto Rocca, Il Raffaello dell’Ambrosiana. In principio era il Cartone, Milano, Electa-Veneranda Biblioteca Ambrosiana, 2019.