La Sala delle Asse di Leonardo da Vinci

La Sala delle Asse nei documenti d’archivio

La Sala delle Asse è un vasto ambiente quadrato - misura 15 m circa di lato e 6 m di altezza per una superficie di 225 mq - situato al pianterreno della torre nord-est, un tempo Torre Falconiera, del Castello Sforzesco di Milano.

Qui, nel 1893-1894, sono state scoperte tracce di una decorazione costituita da un intreccio di rami e foglie che rivestivano l’intera volta e le pareti dell’ambiente. Tali tracce furono messe in rapporto con due documenti d’archivio, due lettere nelle quali Gualtiero Bascapé, segretario del duca di Milano, informava Ludovico Sforza dello stato di avanzamento dei lavori previsti in una torre del Castello. Leggiamo il primo di questi documenti, datato 21 aprile 1498:«A la saleta negra non si perde tempo. Lunedì si desarmerà la camera grande da le asse cioè da la tore. Magistro Leonardo promete finirla per tuto Septembre, et che per questo si potrà etiam goldere: perché li ponti ch’el farà lasarano vacuo de soto per tuto».Il secondo, del 23 aprile 1498, informa che: «La Camera granda da le asse è disconza, et a lo camerino non si perde tempo».

Dalle due lettere si ricava dunque che nell’aprile del 1498 si prepara l’ambiente del quale Leonardo da Vinci è stato incaricato di dipingere le pareti: i muri vengono liberati del rivestimento ligneo, le asse, che all’epoca costituiva uno dei più comuni accorgimenti per isolare termicamente le stanze. Leonardo progetta di terminare la decorazione entro settembre, lavorando su impalcature che permetteranno di continuare a usufruire (goldere) dello spazio sottostante.

I restauri novecenteschi

Camera grande da le asse: l’espressione è stata intesa come la denominazione precisa della sala, che da fine Ottocento ha assunto quel nome. Entro il 1902, le tracce pittoriche emerse dall’intonaco sovrapposto nel tempo furono restaurate da Ernesto Rusca1, secondo i principi interpretativi dell’epoca. Fino agli anni Cinquanta del Novecento la sala si vedeva nell’allestimento dell’architetto Luca Beltrami2 al quale si deve in gran parte l’immagine attuale del Castello: il pavimento a intarsi marmorei, i tessuti rossi alle pareti con le iniziali dei duchi e il mobilio riproponevano idealmente l’aspetto lussuoso di una sala di rappresentanza della corte sforzesca. Agli inizi degli anni Cinquanta, Ottemi della Rotta3 procedette a un nuovo restauro, alleggerendo la densa pittura del Rusca. Il nuovo allestimento, curato dallo studio BBPR4 restituì sulle pareti un’elegante versione moderna delle asse citate nei documenti, lasciando tuttavia in vista sul muro est un monocromo già emerso nell’Ottocento, che in origine circondava la bocca di un camino poi chiuso e raffigurava un intrico di possenti radici infiltrate tra i massi di uno zoccolo roccioso, nella qualità chiaroscurale del quale si ravvisava lo stile di Leonardo da Vinci.

Un ciclo celebrativo filosforzesco

Che cosa è dipinto sulle pareti? La Sala delle Asse è concepita come un dispositivo illusionistico: le pareti sono scandite da una successione di tronchi d’albero che affondano le radici in un ammasso roccioso. All’altezza delle sedici lunette, dai tronchi si dipartono rami che intrecciandosi rivestono del loro fitto fogliame l’intera superficie della volta. Ma l’intreccio non è spontaneo, giacché i rami sono in realtà legati tra loro dai nodi complessi, geometrici e regolari di una corda dorata. Al centro della volta, un oculo aperto sull’azzurro del cielo accoglie lo stemma bipartito del duca Ludovico e della duchessa Beatrice d’Este. Al centro di quattro lati della volta, invece, sono dipinte quattro targhe azzurre con iscrizioni in capitali dorate: il loro testo, illeggibile al momento della scoperta di fine Ottocento, è stato recuperato grazie alla trascrizione fattane nel settembre 1499 dal cronista veneziano Marin Sanudo.

Le iscrizioni alludono alle tappe dell’ascesa politica di Ludovico Sforza grazie all’alleanza stretta con Massimiliano I d’Asburgo:

- il matrimonio dell’imperatore con Bianca Maria Sforza, 1493;

- l’investitura a duca di Milano del Moro, primo della dinastia sforzesca a ricevere la legittimazione imperiale, 1494-1495;

- l’incontro della coppia ducale con l’imperatore in vista di una lega antifrancese, 1496.

Il testo originale della quarta targa è sconosciuto: Sanudo, infatti, aveva trascritto il contenuto dell’iscrizione sostituita dai francesi che, conquistato l’ex ducato e impadronitisi del Castello, avevano colto il significato celebrativo filosforzesco dell’ambiente e ne avevano aggiornato il senso, declinando il testo della quarta targa in chiave filofrancese.Alla pagina del sito del Castello Sforzesco dedicata alla Sala delle Asse è possibile visionare numerosi particolari pittorici.

All’ombra di Ludovico il Moro

Ma veniamo allora al significato della Sala. Nel corso del Novecento e dei primi decenni del nostro secolo si sono succedute diverse interpretazioni iconografiche che, divergendo su molti aspetti, hanno in comune il richiamo alle ambizioni politiche del duca e alla sua strategia di promozione dinastica. Qui ci soffermeremo solo sugli aspetti che ci paiono più aderenti ai dati figurativi.

Occorre iniziare dalla specie botanica dipinta sulle pareti, che le foglie cuoriformi e le bacche rosse permettono di identificare in una pianta di gelso, immagine allegorica di Ludovico il Moro.

Ludovicus Maurus: questo il nome che il padre, Francesco Sforza, aveva scelto per il quarto dei suoi figli maschi e che si legava, secondo la tradizione, alla carnagione scura del giovane. Il nome Maurus è attestato per la prima volta nel 1461. A partire dalla fine degli anni Ottanta, in parallelo col progressivo imporsi di Ludovico sulla scena politica milanese, gli umanisti di corte elaborarono intorno al nome del Moro due immagini letterarie. La prima intendeva il termine come “originario della Mauritania”, e per questo personaggi di colore si incontrano nell’iconografia sforzesca del tempo, per esempio nei libri miniati appartenuti al Moro, oppure negli apparati effimeri eretti in occasione delle feste celebrate a corte. Tuttavia la figura del “moro” non assunse mai significati simbolici particolari, né nelle versioni letterarie né in quelle figurative.

Contemporaneamente a quella del Moro-moro, si impose un’altra immagine, prima letteraria poi figurativa, quella del Moro-gelso. L’allegoria è radicata nel nome lombardo della pianta, detta “morone”, assimilabile all’onomastica del duca. Ma in questo caso l’analogia poteva caricarsi di ulteriori significati pregnanti. Nella Naturalis Historia Plinio il Vecchio aveva infatti definito il gelso sapientissima arbor, il più saggio degli alberi perché, germogliando a stagione inoltrata, sfuggiva al pericolo degli ultimi geli e, benché in ritardo, garantiva comunque i frutti. Il gelso era divenuto così simbolo di saggezza/prudenza, virtù cardinale necessaria all’uomo di governo.

Non è escluso che l’allegoria sia stata elaborata dal poeta fiorentino, attivo alla corte sforzesca, Bernardo Bellincioni, le cui rime furono pubblicate postume nel 1493: il poeta forse modellò l’immagine del Moro-gelso su quella medicea di Lorenzo-lauro. Nel 1492 l’assimilazione tra il gelso e il Moro è esplicitata, tra gli altri, da Franchino Gaffurio, musico della Cattedrale di Milano, nella dedica al Moro del trattato Theorica Musicae. Anche questa allegoria si rifletté nell’iconografia ducale: in un libro miniato che il Moro offrì nel 1493 al nipote Giangaleazzo, all’epoca duca di Milano, si vede un albero di gelso, dal tronco scuro, che abbraccia affettuosamente e protegge con l’ombra un arbusto più tenero, mentre cartigli avvolti intorno ai tronchi traducono il dialogo che si svolge tra i due. In anni recenti, l’identificazione del gelso negli alberi della Sala delle Asse è stata confermata dal ritrovamento di citazioni letterarie di primo Cinquecento in cui l’ambiente è chiamato “camera dei moroni”.

Ecco allora un primo elemento sicuro per interpretare le immagini che ci avvolgono entrando nella Sala delle Asse: siamo all’ombra del Moro, sotto la sua protezione. Ma, come si è detto, la Sala è uno spazio illusionistico, un padiglione vegetale di origine non naturale ma artificiale, come esplicitano i nodi dorati che ordinano i rami. Siamo dunque sotto una costruzione architettonica assimilabile a quella dello Stato sforzesco, tanto più che Vitruvio e Alberti tramandano il mito di origine delle prime abitazioni umane, create dall’intreccio degli alberi.

La Sala delle Asse come immagine dello Stato sforzesco

Ma se questa era la lettura affermata della Sala, che cosa insegnano i nuovi restauri? Sono due i risultati su cui vale la pena di soffermarsi. Innanzitutto, dalle porzioni di muro non ancora liberate dagli intonaci successivi sono emersi bellissimi brani assimilabili al monocromo della parete nord-orientale: disegni preparatori a carboncino fissati a pennello con ocra, ombreggiati, spesso molto rifiniti, tronchi e talora paesaggi con edifici all’orizzonte. I fusti degli alberi con tracce di rami potati ricordano le colonne ad tronchonos (che imitano cioè un tronco d’albero) che in quegli anni Bramante usava nella canonica della basilica di Sant’Ambrogio, a ricordare il mito vitruviano dell’origine dell’architettura. La scoperta rafforza l’ipotesi che assimila il padiglione arboreo a un edificio eretto artificiosamente, dunque a un’immagine dello Stato.

Certo, ancora più importante è che le nuove tracce figurative permettono di rispondere all’enigma più tenace della Sala, quello del rapporto finora inspiegabile tra la volta dipinta e i disegni monocromi sulle pareti, che non presentavano tracce di caduta di colore. In realtà, probabilmente, Leonardo non concluse mai i suoi lavori. Alla sua lentezza venne ad aggiungersi il tragico esito della politica sforzesca, con l’invasione del ducato a la conquista ad opera delle truppe francesi.

«Il Duca perse lo Stato e la roba e la libertà e nessuna opera si finì per lui»: il noto appunto di Leonardo potrebbe fungere da epigrafe al nuovo allestimento della Sala delle Asse.

Note

1. Il restauro della decorazione della Sala delle Asse fu affidato al pittore e decoratore Ernesto Rusca, figura di spicco nel panorama di recupero del Rinascimento proprio di quegli anni. Dopo la ricostruzione, sulla base di frammenti ancora visibili, del motivo decorativo di uno spicchio della volta, Rusca passò al ripristino dell’intera copertura, utilizzando una densa tempera dai colori vividi.

2. Luca Beltrami (Milano, 1854-Roma, 1933) è stato un architetto, storico dell'arte e senatore del Regno d’Italia. A lui si deve il restauro dei principali palazzi e monumenti milanesi, tra cui il Castello Sforzesco, dove fra l’altro ricompose la Torre detta del Filarete, basandosi sulla documentazione storica.

3. Per il restauro delle pitture venne incaricato Ottemi della Rotta (1901-1973), uno dei più importanti restauratori italiani del Novecento.

4. Il riallestimento dei musei del Castello (compresa la Sala delle Asse) venne commissionato al gruppo di architetti BBPR (Gian Luigi Banfi, Lodovico Barbiano di Belgioioso, Enrico Peressutti, Ernesto Nathan Rogers).