In linea di massima possiamo dire che, nella loro notevole varietà, gli sviluppi dell’arte contemporanea dagli ultimi decenni del XX secolo alla situazione attuale sono espressione della più generale svolta culturale postmoderna.
Il concetto di “postmoderno” (peraltro molto generico e suscettibile di diverse interpretazioni a vari livelli) è stato utilizzato per cercare di definire a livello filosofico, economico, politico ideologico, e culturale, le caratteristiche di una nuova fase storica, che si afferma a partire dalla crisi definitiva delle certezze nei valori illuministi del progresso e nella progettualità innovativa modernista, crisi determinata da un’evoluzione sempre più complessa e globalizzata del capitalismo postindustriale, e dai profondi cambiamenti innescati dalle rivoluzioni tecnologiche, in particolare quella digitale di Internet. Il testo filosofico più noto sul Postmodernismo, è La condizione postmoderna (1983) di Jean-François Lyotard.
La condizione postmoderna delle arti figurative dalla fine del Novecento ad oggi si dibatte vitalmente in un labirinto di riferimenti, di modelli linguistici e di stimoli iconici, ed è caratterizzata dall’abbattimento delle barriere fra arte alta e bassa, fra arte nuova e vecchia, fra tecniche sperimentali e tradizionali. È una condizione di estrema apertura e fluidità per molti versi affascinante, ma molto problematica nella misura in cui ha messo in crisi le precedenti categorie di definizione critica estetica.
Il termine “postmoderno” si precisa con una specifica significazione disciplinare nell’ambito dell’architettura e del design in riferimento alle tendenze che si oppongono al razionalismo funzionalista del movimento moderno. Precursore in questo senso è stato l’architetto americano Robert Venturi che già in un saggio del 1966, Complexity and Contradiction in Architecture, afferma che la progettualità postmoderna preferisce la complessità e la contraddizione, con elementi di compromesso piuttosto che “puri”, con ibridazioni e citazioni di elementi stilistici del passato.
Nel 1980, alla Biennale di Venezia, l’architetto Paolo Portoghesi cura l’esposizione intitolata “La Presenza del passato” con l’allestimento della “Strada novissima”, un percorso costituito da modelli di facciate progettate da una ventina tra i maggiori architetti internazionali: una fondamentale mostra considerata come un “manifesto” dell’architettura postmoderna.
Per quello che riguarda le arti visive, la svolta postmoderna alla fine degli anni Settanta si configura come reazione contro lo spirito modernista d’avanguardia, in particolare contro i linguaggi sperimentali radicalmente innovativi delle correnti minimaliste, poveriste e concettuali dominanti negli anni Sessanta e Settanta. Questa reazione avviene attraverso un ritorno alle pratiche della pittura e alla scultura realizzate con mezzi tradizionali ma connotate da un gusto eclettico e trasversale per libere citazioni, ripescaggi e reinvenzioni di motivi e forme espressive dei vari stili figurativi delle prime avanguardie (come per esempio il primitivismo, l’espressionismo, la metafisica), e dell’arte del passato.
I principali protagonisti di questa nuova tendenza, che si impone sulla scena artistica internazionale nella prima metà degli anni Ottanta, sono gli artisti della Transavanguardia in Italia, i Neoespressionisti tedeschi, e negli Stati Uniti i neoespressionisti e la Graffiti Art.
La pittura e la scultura continuano a mantenere un ruolo di primo piano anche negli sviluppi successivi con artisti che lavorano in varie altre direzioni: da quella neo-pop di Jeff Koons a quella neo-geometrica (Neo-Geo) di Peter Halley, da quella del citazionismo neoconcettuale degli “appropriazionisti” come Sherrie Levine (che si appropriano e manipolano con spirito critico oggetti e immagini già esistenti per creare opere d’arte nuove e originali), a quella iperrealista come nel caso delle statue di Charles Ray o di Ron Mueck.
Ma in particolare dagli anni Novanta in poi, si assiste anche a una straordinaria evoluzione postmodernista di tutte le altre forme di ricerca artistica, dalle installazioni ambientali alle performance, dalla fotografia alla video art, con opere ed esposizioni sempre più spettacolari.
Un esempio emblematico in questo senso è il clamoroso successo della cosiddetta Young British Art (YBA), un variegato gruppo di giovani artisti britannici che, a partire dalla mostra “Freeze”, organizzata a Londra nel 1988 dal capofila Damien Hirst in uno spazio industriale dismesso, si afferma a livello internazionale grazie al sostegno del collezionista e abilissimo investitore nel campo dell’arte contemporanea Charles Saatchi, e di potenti gallerie. Anche se nella YBA si trovano artisti che utilizzano ogni tipo di tecniche, materiali e processi creativi, questo gruppo si caratterizza in generale per un comune strategia della provocazione attraverso soggetti e temi estremamente scioccanti sulla violenza, la morte, il sesso, i corpi umani e animali; e per una spiccata abilità nel creare scandali e polemiche a livello mediatico, e nel gestire gli interessi mercantili.
L’evento più rilevante e spettacolare del movimento è stata la grande esposizione del 1997 “Sensation” alla Royal Accademy di Londra (poi presentata anche a Berlino e a New York) con opere di 42 artisti. Tra gli esponenti più affermati, oltre a Damien Hirst (suo è il famoso squalo sezionato e messo in formaldeide) e Tracey Emin (nota per aver presentato come installazione il suo letto sfatto e macchiato), sono da citare anche i fratelli Jake e Dinos Chapman, autori di orripilanti figure con alterazioni genetiche; Marc Quinn che ha riempito di suo vero sangue un calco vuoto della sua testa; e Jenny Saville che dipinge con nitido realismo espressionista mostruosi corpi femminili.
Ma la fondamentale svolta culturale a livello generale è quella connessa alla straordinaria accelerazione dei processi di globalizzazione. Dagli anni Novanta in poi l’orizzonte dell’arte contemporanea si allarga in modo determinante con l’emergere di nuove vitali scene artistiche in America Latina, in Africa e in Asia.
Le opere di molti di questi artisti affrontano problematiche politiche dei loro paesi, le questioni del post-colonialismo, le contraddizioni fra tradizioni etniche e modernità occidentale, e temi sociali come il razzismo e la condizione delle donne.
Di grande importanza per l’avvio e la legittimazione di questa apertura multiculturalista sono state alcune grandi manifestazioni espositive internazionali. La prima è la mostra “Les Magiciens de la terre” al Centre Pompidou di Parigi (1989), curata da Jean-Hubert Martin, che per la prima volta mette in dialogo fra loro, con pari dignità, molti fra i più famosi artisti occidentali con artisti provenienti da paesi decentrati di tutto il mondo, in particolare africani, espressione di valori culturali ed estetici considerati fino ad allora marginali o interessanti solo dal punto di vista etnologico. Lo sviluppo in questa direzione si è definitivamente consolidato con le due edizioni della Biennale di Venezia (1999 e 2001) dirette da Harald Szeemann, intitolate significativamente “d’Apertutto” e “Platea dell’Umanità”. Di grande importanza è stata anche l’edizione del 2002 di Documenta di Kassel in Germania, diretta dal nigeriano Okwui Enwezor, intitolata “Platforms”, allargata a eventi espositivi organizzati nei cinque continenti.
Bisogna infine ricordare il caso particolare della Cina, dove in pochi anni c’è stato uno straordinario sviluppo del sistema dell’arte contemporanea, con la nascita di gallerie, musei, biennali, fiere dell’arte, e con artisti che hanno raggiunto quotazioni altissime, come per esempio Fang Lijun, Cai Guo-Qiang, e Al Weiwei.