Il circle time è considerato una delle metodologie più efficaci nell’educazione socio-affettiva. I partecipanti si dispongono in cerchio, con un conduttore che ha il ruolo di sollecitare e coordinare il dibattito entro un termine temporale prefissato. La successione degli interventi secondo l’ordine del cerchio va rigorosamente rispettata. Il conduttore assume il ruolo di interlocutore privilegiato nel porre domande o nel fornire risposte.
Il circle time facilita e sviluppa la comunicazione circolare, favorisce la conoscenza di sè, promuove la libera e attiva espressione delle idee, delle opinioni, dei sentimenti e dei vissuti personali e, infine, crea un clima di serenità e di condivisione facilitante la costituzione di un qualsiasi nuovo gruppo di lavoro o preliminare a qualunque successiva attività.
Il role playing consiste nella simulazione dei comportamenti e degli atteggiamenti adottati generalmente nella vita reale. Gli studenti devono assumere i ruoli assegnati dall’insegnante e comportarsi come pensano che si comporterebbero realmente nella situazione data. Questa tecnica ha, pertanto, l’obiettivo di far acquisire la capacità di impersonare un ruolo e di comprendere in profondità ciò che il ruolo richiede.
Il role playing è una vera e propria recita a soggetto. Riguarda i comportamenti degli individui nelle relazioni interpersonali in precise situazioni operative per scoprire come le persone possono reagire in tali circostanze. Il docente è tenuto a rispettare gli studenti nelle loro scelte e reazioni senza giudicare.
Come ogni tecnica di sensibilizzazione utilizzata a scopi formativi, anche il role playing deve essere utilizzato come tale (a scopi formativi), deve avere delle sequenze strutturate e deve concludersi con una verifica degli apprendimenti.
Un’ottima metodologia inclusiva è il cooperative learning, che permette una “costruzione comune” di “oggetti”, procedure, concetti. Non è solo «lavorare in gruppo»: non basta infatti organizzare la classe in gruppi perchè si realizzino le condizioni per un’ efficace collaborazione e per un buon apprendimento. Esso si rivolge alla classe come insieme di persone che collaborano, in vista di un risultato comune, lavorando in piccoli gruppi.
I suoi principi fondanti sono:
– interdipendenza positiva nel gruppo
– responsabilità personale
– interazione promozionale faccia a faccia
– importanza delle competenze sociali
– controllo o revisione (riflessione) del lavoro svolto insieme
– valutazione individuale e di gruppo.
È una metodologia che si sta diffondendo soprattutto per la prevenzione di comportamenti a rischio, in quanto coinvolge attivamente i ragazzi direttamente nel contesto scolastico, con l’obiettivo di modificare i comportamenti specifici e di sviluppare le life skills, cioè quelle abilità di vita quotidiana necessarie affinchè ciascuno di noi possa star bene anche mentalmente. In questo metodologia educativa i pari sarebbero dei modelli per l’acquisizione di conoscenze e competenze di varia natura e per la modifica di comportamenti e atteggiamenti, generalmente relativi allo “star bene”, modelli efficaci in misura spesso equivalente ai professionisti del settore.
Il peer non è un professore, non è esperto di un sapere scientifico preciso, ma sa gestire le relazioni: il suo ruolo è di mediazione ed è per questo che è percepito come parte del gruppo. Il peer educator è un ragazzo comune, con una consapevolezza maggiore dei processi comunicativi che si verificano nel gruppo dei pari. Uno dei punti di forza della peer education è la riattivazione della socializzazione all’interno del gruppo classe. Il peer da solo non trasforma nulla, ma è stimolo stesso della partecipazione: la classe, durante gli interventi, è coinvolta ed esortata nell’elaborazione dei vissuti e delle esperienze. La peer education dà ad esempio agli adolescenti la possibilità di trovare uno spazio dove parlare di sé e confrontare le proprie esperienze “alla pari”. Fa entrare lentamente la vita nella scuola: sono i peer a trasmettere e condividere esperienze, dubbi e incertezze con i pari. I ragazzi coinvolti hanno le percezione di vivere un momento di vita informale all’interno del normale svolgimento della didattica.
L’approccio didattico del tipo “insegnamento capovolto” è quella di fare in modo che i ragazzi possano studiare prima di fare lezione in classe, anche attraverso dei video. Può sembrare banale, ma questo approccio, assegnando flessibilmente ad altri tempi e spazi la fase di trasmissione delle conoscenze, consente di “liberare” in classe un’incredibile quantità di tempo e, quindi, di poter curare maggiormente il momento del reale apprendimento, significativo, con il supporto di un docente-facilitatore. La flipped classroom consiste, infatti, nell’invertire il luogo dove si fa lezione (a casa propria anziché a scuola) con quello in cui si studia e si fanno i compiti (a scuola e non a casa). L’idea-base è che la lezione diventa compito a casa mentre il tempo in classe è usato per attività collaborative, esperienze, dibattiti e laboratori. In questo contesto, il docente diventa una guida, una specie di “mentor”, il regista dell’azione pedagogica. A casa viene fatto largo uso di video e altre risorse e-learning come contenuti da studiare, mentre in classe gli studenti sperimentano, collaborano, svolgono attività laboratoriali. In un approccio didattico di questo tipo, in cui allo studente viene richiesto di farsi carico in prima persona del proprio processo di apprendimento, lo studente “impara ad imparare” e diventa più facilmente una persona “attiva”. Ricordiamo, però, che essere «attivi» è un’opzione dell’io e richiede anche allo studente di prendersi sul serio, mettersi in gioco, lasciarsi sfidare, poter ripartire in caso di errore.
La didattica laboratoriale, è naturalmente attiva. Essa privilegia l’apprendimento esperienziale “per favorire l’operatività e allo stesso tempo il dialogo, la riflessione su quello che si fa”, favorendo così le opportunità per gli studenti di costruire attivamente il proprio sapere.
La didattica laboratoriale incoraggia un atteggiamento attivo degli allievi nei confronti della conoscenza sulla base della curiosità e della sfida piuttosto che un atteggiamento passivo. Essa ha il vantaggio di essere facilmente applicabile a tutti gli ambiti disciplinari: nel laboratorio, infatti, i saperi disciplinari diventano strumenti per verificare le conoscenze e le competenze che ciascun studente acquisisce per effetto delle sue esperienze laboratoriali.
Questa didattica si basa sui bisogni dell’individuo che apprende; promuove l’apprendimento collaborativo; consente lo sviluppo di competenze. Grazie ad attività di tipo laboratoriale (che si possono svolgere semplicemente nell’aula o in ambienti con attrezzature particolari), in cui gli studenti lavorano insieme al docente, si promuove un apprendimento significativo e contestualizzato, che favorisce la motivazione.