Designata senatrice a vita sotto la presidenza Mattarella, Liliana Segre è una donna che ha vissuto in prima persona il dramma della deportazione ed è una delle ultime testimoni dell'olocausto. Nonostante un passato pieno di sofferenza e dolore, Liliana trova comunque il coraggio di raccontare la sua vita. Grazie al suo costante impegno contribuisce alla realizzazione di documentari, pubblicazioni cartacee e film su Auschwitz.
Liliana Segre nasce a Milano il 10 settembre del 1930. Cresce assieme al padre Alberto e ai nonni paterni, dopo aver perso la mamma quando ancora non aveva compiuto nemmeno un anno di vita. Liliana Segre, di origini ebraiche, subisce l'espulsione dalla scuola quando arriva all'età di 8 anni a causa dell'entrata in vigore delle leggi razziali in Italia.
Il 1943 è l'anno in cui Liliana assieme al padre tenta la fuga in Svizzera. In quella occasione le guardie di frontiera mandano indietro padre e figlia e procedono al loro arresto a Varese. Liliana resta nel carcere milanese di San Vittore per 40 giorni; successivamente, insieme al padre, viene condotta ad Auschwitz.
Liliana ha solo 13 anni quando entra nel campo di concentramento assieme ad altri 776 bambini. Entrata nella sezione femminile non rivedrà mai più il suo papà. Intanto anche i nonni paterni e i cugini di Liliana vengono arrestati, per essere portati al campo di Auschwitz; vengono uccisi lo stesso giorno del loro arrivo, il 18 maggio del 1944.
Viene tatuata al braccio con il suo numero di matricola "75190" e costretta ai lavori forzati presso la fabbrica "Union" che produce munizioni. Lavora per circa un anno per poi essere trasferita in Polonia a causa della chiusura del campo.
Giunta a Ravensbrück e poi nel campo di Malchow, situato a nord della Germania, Liliana Segre viene liberata il 1° maggio del 1945, a causa dell'occupazione russa. Torna in Italia, a Milano, nel 1946: è fra i 25 sopravvissuti di età inferiore ai 14 anni.
"Era molto difficile per i miei parenti convivere con un animale ferito come ero io: una ragazzina reduce dall'inferno, dalla quale si pretendeva docilità e rassegnazione. Imparai ben presto a tenere per me i miei ricordi tragici e la mia profonda tristezza. Nessuno mi capiva, ero io che dovevo adeguarmi ad un mondo che voleva dimenticare gli eventi dolorosi appena passati, che voleva ricominciare, avido di divertimenti e spensieratezza".
Liliana si chiude in un lungo silenzio fino a quando, durante i primi anni '90, decide di raccontare la sua drammatica esperienza da prigioniera agli alunni dei vari istituti scolastici. Questa attività continua ad impegnare Liliana costantemente per molti anni successivi.