Il 30 luglio del 2012 il Comitato nazionale per la bioetica si è espresso con un parere, reso pubblico in materia di obiezione di coscienza su temi bioetici ribadendo, come già fatto in passato in tema di obiezione di coscienza dei farmacisti, che questo è un diritto costituzionalmente garantito anche se non si deve limitare né rendere più gravoso l’esercizio di diritti riconosciuti per legge né indebolire i vincoli di solidarietà.
Il Cnb nel parere di oggi stabilisce che “l’obiezione di coscienza in bioetica è un diritto costituzionalmente fondato (con riferimento ai diritti inviolabili dell’uomo), costituisce un'istituzione democratica, in quanto preserva il carattere problematico delle questioni inerenti alla tutela dei diritti fondamentali senza vincolarle in modo assoluto al potere delle maggioranze, e va esercitata in modo sostenibile”. Sostenibile significa dunque che la tutela giuridica dell’obiezione di coscienza non deve limitare né rendere più gravoso l’esercizio di diritti riconosciuti per legge né indebolire i vincoli di solidarietà derivanti dalla comune appartenenza al corpo sociale.
L’obiezione di coscienza in bioetica, secondo il Cnb, è un diritto costituzionalmente fondato e con dimensione democratica e nell’affrontare gli aspetti morali il Documento si sofferma sul versante giuridico al quale l’obiettore “in definitiva si rivolge chiedendo di poter non adempiere a comandi legali contrari alla propria coscienza”.Il Comitato ha sottolineato come sia importante “evitare di imporre obblighi contrari alla coscienza strumentalizzando chi esercita una professione o almeno tutelare l'obiezione di coscienza quando sono in gioco i diritti inviolabili dell'uomo” senza però allo stesso tempo“mortificare il principio di legalità”.Secondo gli esperti di bioetica “un’obiezione di coscienza giuridicamente sostenibile non deve limitare né rendere più gravoso l’esercizio di diritti riconosciuti per legge né indebolire i vincoli di solidarietà derivanti dalla comune appartenenza al corpo sociale”. E dunque alla fine le raccomandazioni con cui si conclude il parere del Cnb: “nella tutela dell’obiezione di coscienza, che discende dal suo essere costituzionalmente fondata, si devono prevedere misure adeguate a garantire l’erogazione dei servizi, con attenzione a non discriminare né gli obiettori né i non obiettori, e quindi un’organizzazione delle mansioni e del reclutamento che possa equilibrare, sulla base dei dati disponibili, obiettori e non”.
I precedenti pronunciamenti del Cnb:
Sull’obiezione di coscienza il Cnb si era già espresso in passato. Una prima volta nel maggio del 2004 quando, sollecitato dall’Ordine dei medici di Venezia a dare una risposta in materia, disse che era da accogliere la possibilità per il medico di rifiutare la prescrizione o la somministrazione della contraccezione d’emergenza.Il medico, sosteneva il Cnb, ha infatti il diritto di appellarsi alla “clausola di coscienza”, figura giuridica contemplata anche dal Codice di deontologia medica del 1998, art. 19. Clausola di coscienza che è contemplata anche dal Codice deontologico dell'Infermiere del 2009,che la cita all’art. 8. In entrambi i codici però si fa sempre riferimento,pur nel rispetto della clausola di coscienza, alla tutela dell’incolumità edella vita dell’assistita. La seconda volta in cui il Cnb ha espresso un suo parere sull’obiezione di coscienza è stato nel febbraio del 2011, facendo riferimento alla professione del farmacista e alla vendita di prodotti contraccettivi d’emergenza. Anche in quel caso come oggi il Cnb ha ricordato come la pratica dell’obiezione di coscienza abbia “un fondamento costituzionale”ma la sua realizzazione deve avvenire nel rispetto degli altri diritti fondamentali e fra questi “l’irrinunciabile diritto al cittadino alla tutela della salute” e dunque a ricevere l’assistenza sanitaria riconosciuta per legge. Quindi, concludeva il parere del Cnb, un’eventuale legge in materia che regolamenti l'istituto dell'obiezione anche per i farmacisti, dovrà riconoscere alla donna “la possibilità di ottenere altrimenti la realizzazione della richiesta farmacologica”.
La storia dimostra che alla libertà religiosa si collega il diritto alla libertà di coscienza oggi giuridicamente riconosciuto nei documenti più alti del pensiero giuridico moderno e nelle codificazioni conseguenti. A livello internazionale, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo(10dicembre 1948) afferma che «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti»(art. 18).
Analoga formulazione è ripetuta (art. 18) nel Patto Internazionale sui diritti civili e politici (16 dicembre 1966). Si noti che la Convenzione sui diritti del fanciullo (20 novembre 1989) riconosce anche per il minore il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione (art. 14). La Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli (1981) all’art. 8, così come la Convenzione americana sui diritti umani (1969) all’art. 12, tutelano il diritto alla libertà di coscienza.A livello europeo, sia la Convenzione europea sui diritti dell’uomo e le libertà fondamentali (1950) all’art. 9, sia la già ricordata Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2000) all’art. 10, riconoscono la libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Merita anche ricordare che la Corte europea dei diritti umani in più occasioni ha affermato che gli Stati hanno il dovere di rispettare il diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare come parte dell’obbligo di rispettare il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione espresso nell’articolo 9 della Convenzione europea dei diritti umani.
Con specifico riferimento alla bioetica va ricordata la Risoluzione del Consiglio d’Europa del 7 ottobre 2010 riguardante il diritto all’obiezione di coscienza nelle cure mediche legali che condanna ogni forma di discriminazione nei confronti degli obiettori: «Nessuna persona o ospedale o istituzione può essere obbligata o ritenuta responsabile o discriminata se rifiuta per qualsiasi motivo di eseguire o assistere un aborto, interventi di eutanasia o un altro atto che possa causare la morte di un feto o di un embrione».Per quanto riguarda la nostra Carta Costituzionale, è consolidata l’idea che la libertà di coscienza essa sia implicitamente contemplata nell’art. 2 che riconosce e garantisce “i diritti inviolabili dell’uomo”, negli articoli che disciplinano e tutelano la libertà e l’uguaglianza in materia di religione (artt. 3, 7, 8, 19, e 20) e nell’art. 21 che tutela la libertà di manifestazione del pensiero. È questo l’orientamento fatto proprio dalla dottrina, tanto che è stato scritto che dell’obiezione di coscienza nella Carta Costituzionale «manca solo il nome, non l’ammissione e la tutela».
L’origine religiosa dell’obiezione di coscienza non deve, però, corroborare l’errore diffuso di considerare l’obiezione nel campo sanitario una sorta di concessione agli scrupoli religiosi di una parte del personale sanitario. Più avanti questa opinione verrà contestata. Ciò che adesso preme sottolineare è che la libertà religiosa è stata evocata come humus dell’obiezione di coscienza, perché tale origine prova l’esistenza di una grave questione antropologica ad essa strettamente collegata: chi è l’uomo? Qual è il senso della sua vita? Nel territorio religioso vi è lo spazio per cercare risposte che non sono di poco conto. Quando la Corte Costituzionale giustifica l’obiezione di coscienza come difesa dell’«intima e privilegiata relazione dell’uomo con se stesso» e «regno delle virtualità di espressione dei diritti inviolabili del singolo nella vita di relazione», allude alla presenza nell’uomo di un “oltre”, di un mistero che supera il toccabile e lo sperimentabile. Ha scritto il Concilio Vaticano II che «la coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità». Se così è, la “relazione” di cui parla la Corte Costituzionale è in primo luogo quella con Dio ed è una relazione che determina il senso della vita del singolo. Essa attiene alla identità dell’uomo, alla ricerca di un suo significato.Come si vede, la garanzia di libertà intorno a questa ricerca investe la questione antropologica.L’obiezione di coscienza al servizio miliare. – L’obiezione moderna,quella consacrata nel diritto positivo con riferimento all’esercizio della professione sanitaria, ha preso le mosse dall’obiezione di coscienza relativa al servizio militare, considerato dalla Costituzione italiana “sacro dovere del cittadino” (Art. 52) in un contesto in cui si rifiuta la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (art. 11).Alcuni giovani testimoni di Geova e alcuni giovani pentacostali da tempo erano stati condannati per essere stati renitenti alla leva militare allora obbligatoria, ma all’inizio degli anni ’60 anche alcuni giovani cattolici rifiutarono di indossare la divisa e perciò furono denunciati e condannati.Ne derivò un acceso dibattito a livello politico, etico e teologico, con processi per apologia di reato a carico di sacerdoti (Don Lorenzo Milani e Padre Ernesto Balducci). Fu coinvolto anche il sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, perché – violando il divieto statale – fece proiettare il film del regista francese Claude Autant-Lara “Non uccidere” (“Tu ne tu eras point”,1961) la cui sceneggiatura era basata su un reale fatto di cronaca militare. Il dibattito coinvolse il tema della pace, allora di grande attualità nel clima di equilibrio del terrore tra blocchi – economico-politico-militari – duramente contrapposti, in corsa per l’armamento atomico. Non è il caso di entrare nei dettagli di questa storia,sviluppatasi con l’introduzione di norme che prevedevano l’obiezione di coscienza rispetto al servizio militare (L.n. 772 del 1972 e L. n. 930 del 1998) e conclusasi con la Legge 14 novembre 2000 che ha abolito la leva militare obbligatoria e l’ha sostituita con il servizio militare professionale.
È molto importante sottolineare che, nonostante le contaminazioni politiche che attraversarono il dibattito, la ragione essenziale dell’obiezione fu il rifiuto di uccidere altri esseri umani; rifiuto avvertito come insuperabile anche nei casi in cui l’uccisione avrebbe potuto essere un’eventualità remota e/o avvenire in condizioni di possibile difesa sociale.
In tempo di pace l’esercito è come una riserva di forza da utilizzare, e di fatto utilizzata, per operazioni di solidarietà alle popolazioni colpite da calamità naturali o per garantire la sicurezza dei cittadini in occasione di particolari pericoli. Interventi militari all’estero sono previsti, e di fatto sono avvenuti, soltanto in operazioni internazionalmente concordate per difendere la vita di popolazioni minacciate e con una presenza in grado di mantenere la pace, anche mediante interventi di solidarietà nei confronti di cittadini stranieri in condizioni di povertà estrema. Si pensi a quanto da anni accade nel Mediterraneo, dove una grande quantità di profughi provenienti dall’Africa viene sottratta alla morte conseguente a continui naufragi.
Il precetto del “non uccidere” giustifica, dunque, non solo il rifiuto dell’atto che attualmente e certamente provoca la morte, ma anche il rifiuto di compiere azioni che soltanto in una remotissima eventualità possono contribuire a provocare la morte e nonostante che un tale rifiuto comporti il sottrarsi ad eventualità di segno opposto: il soccorso a popolazioni che si trovano in una emergenza tale da mettere a rischio la vita. L’obiezione militare è stata riconosciuta eticamente fondata per la particolare forza del precetto del “non uccidere”.Oggi non ha più senso l’obiezione di coscienza militare, ma la sua storia fornisce indicazioni per scoprire il fondamento di un’ulteriore obiezione di coscienza in discussione: quella sanitaria. Il rifiuto di causare la morte di un altro è connesso alla questione antropologica: chi è l’altro?Perché la sua vita merita rispetto? Ci sono delle condizioni?
Magistero della Chiesa
La dottrina della Chiesa sulla libertà religiosa include come nucleo centrale di tale diritto civile l’esigenza che tutti “devono essere immuni dalla coercizione da parte sia di singoli, sia di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, e in modo tale che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito,entro debiti limiti, di agire in conformità alla sua coscienza, privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata” (DH 2).Per quanto attiene più specificamente la coscienza, la Chiesa “onora come sacra” la sua dignità “e la sua libera decisione” (GS 41b).
Proprio “nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi” (GS 16); “l’uomo coglie e riconosce gli imperativi della legge divina attraverso la sua coscienza, che egli è tenuto a seguire fedelmente in ogni sua attività, per raggiungere il suo fine che è Dio. Non lo si deve quindi costringere ad agire contro la sua coscienza. Ma non si deve neppure impedirgli di operare in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso” (DH 3), dentro i limiti del giusto ordine pubblico.Perché solamente liberi da coazione gli uomini possono compiere, in modo adeguato alla loro natura, il dovere morale che hanno davanti a Dio, di cercare la verità e di viverla (DH 2). Riguardo all’obiezione di coscienza la dottrina cristiana si è da sempre ispirata al principio che non è lecito compiere nè cooperare al male, per cui “i cristiani, come tutti gli uomini di buona volontà, sono chiamati, per un grave dovere di coscienza, a non prestare la loro collaborazione formale a quelle pratiche che, pur ammesse dalla legislazione civile,sono in contrasto con la Legge di Dio”]. Concretamente, l’enciclica Evangelium vitae e altri documenti ricordano il grave dovere morale di opporre obiezione di coscienza all’aborto e all’eutanasia. Nel caso dell’obiezione al servizio militare, l’ultimo Concilio afferma “le leggi provvedano umanamente al caso di coloro che, per motivi di coscienza,ricusano l’uso delle armi, mentre tuttavia accettano qualche altra forma di servizio della comunità umana” (GS 79c).
In questo contesto degli enunciati magisteriali, osserviamo che la libertà religiosa, al di là della mera libertà di culto, si risolve in buona misura nella possibilità di adeguare la propria condotta ai postulati della coscienza personale, soprattutto religiosa.