John Locke

Locke nasce a Bristol nel 1632, studia ad Oxford e lì vi insegnerà fino al 1667 per seguire il suo protettore, lord Ashley, futuro conte di Shaftensbury e esponente della nascente ala dei whig. Il filosofo si lega ad un personaggio fortemente impegnato in politica con il quale seguirà alcuni dei rivolgimenti da che movimentano l’Inghilterra di quegli anni e di cui Locke è il principale teorico. Nel 1665 è al seguito dell’ambasciatore inglese presso l’elettore del Brandeburgo. Nel 1668 entra a far parte della Royal Society e in questi anni svolge l’attività di medico. Nel 1669 si trasferisce in Olanda perché lord Ashley viene accusato di tradimento. Tornerà in Inghilterra nell’89. 

Muore ad Oates nel Wessex nel 1704. Locke si inquadra in un preciso panorama storico, un’epoca di rivoluzioni, culturali, scientifiche, politiche in cui incomincia a delinearsi quello spirito illuministico. Idea nascente in questo periodo è quella dell’uomo che, attraverso la virtù e il lavoro, può migliorare la propria condizione nel mondo. Il mondo può essere dominato.Il rinnovamento politico e la sua teorizzazione, proprio per mano di Locke, sono tra i momenti fondamentali della “rivoluzione politica” di quegli anni che porterà l’Inghilterra ad essere uno dei paesi più democratici e più potenti.

La conoscenza empirica

Dopo le Meditazioni Metafisiche di Cartesio, non si poteva ignorare il problema di una solida teoria della conoscenza, la nuova scienza fisica lo richiedeva. Con questa finalità, la fondazione della scienza, erano state scritte da Cartesio sia le Meditazioni che “Il discorso sul metodo”. 

Cartesio aveva posto la solidità della scienza all’interno del soggetto il quale è in grado di conoscere adeguatamente il mondo, solo a patto che egli rivolga in sé l’attenzione, non ai dati di senso.I dati di senso, per Cartesio, erano fonte di imprecise informazioni, del tutto manchevoli, inadeguate ad una conoscenza certa. Celebre e immortale è a tal proposito la prima Meditazione. Il soggetto, dunque, non conosceva adeguatamente il mondo, le singole cose, se stava alla pura e semplice osservazione. In questo senso, Cartesio, come è noto, concepisce la scienza in alternativa al paradigma aristotelico, un paradigma profondamente empirista.La solidità della scienza era garantita proprio dal fatto che essa conosceva non il possibile, che è ciò che veniamo a conoscere proprio dai sensi, ma il necessario. Le idee innate le scopriamo in noi attraverso diversi procedimenti: ma esse non si inventano né si trovano fuori di noi. Se il soggetto conosce adeguatamente, conosce idee chiare e distinte, allora può lecitamente procedere verso una conoscenza delle cose fuori di noi. Che ciò sia possibile è garantito dal fatto che Dio, colui che ci ha fatto, non ci ha creato in modo errato, cioè noi, quando ragioniamo, quando operiamo dei calcoli, siamo in grado di non sbagliare. 

In secondo luogo, le sensazioni che abbiamo del mondo esterno, mostrano chiaramente che le cose fuori di noi esistono, sebbene, in ogni caso, noi non le conosciamo attraverso queste sensazioni. Dio ha dato all’uomo la ragione per conoscere il mondo, la sensazione serve semplicemente a fini pratici.Se questa era la visione di Cartesio, profondamente platonica e razionalista, Locke la pensa sostanzialmente all’incontrario. In primo luogo, egli ritiene che tutta la nostra conoscenza incomincia con l’esperienza. Questa idea è da prendere nel senso più radicale possibile. Noi non abbiamo alcuna informazione del mondo, prima che noi incominciamo ad avere esperienza di esso. In questo senso, anche del principio di non-contraddizione noi abbiamo conoscenza solo a posteriori, e cioè quando incominciamo a ragionare, operazione linguistica per Locke, scoprendo, così, che se violiamo il principio, diciamo immediatamente un’assurdità.

La conoscenza incomincia nella sensazione. La sensazione è un qualsiasi atto percettivo ed è definita dall’esser del tutto involontaria, cioè non è posta dal soggetto, non è posta da una conoscenza inferenziale, cioè non è determinata da null’altro che dall’azione stessa dell’esperire ( non possiamo avere l’idea del “giallo” se non dopo che abbiamo visto un oggetto giallo ), ogni conoscenza successiva si fonda su di essa, ogni atto d’esperienza è un atto cosciente. La percezione singola è “l’atomo della conoscenza”.Ogni singola percezione ci informa di qualche particolare esistente e dall’insieme delle percezioni che noi abbiamo di un oggetto possiamo ricavarne le sue proprietà.Locke sottolinea che la conoscenza delle proprietà degli oggetti è di due tipi diversi: abbiamo conoscenza sia delle proprietà inerenti all’oggetto che di quelle che non dipendono da quello, ma dalla presenza di un soggetto.

Le proprietà primarie sono quelle che definiscono l’oggetto così com’è e sono esperite attraverso la vista e il tatto: l’una ci da la figura e la dimensione, mentre l’altro ci informa sul peso. La vista e il tatto sono, per Locke, i sensi privilegiati attraverso cui conosciamo adeguatamente il mondo. Le proprietà primarie concorrono alla definizione “attuale” dell’oggetto e pongono delle asserzioni puramente fattuali. Ma il soggetto non è del tutto passivo e arriva a conoscere anche delle proprietà che non sono nell’oggetto. Queste proprietà sono dette secondarie proprio perché non definiscono l’oggetto in alcun modo. Questo secondo tipo di informazioni sono esperite dagli altri organi di senso. Locke, tuttavia, non rinnega questa seconda forma di conoscenza in quanto ci aiuta alla conoscenza della “potenza” degli oggetti stessi: non è in nostro potere sentire un certo odore e la causa risiede nell’oggetto. 

Però, nel caso dell’odore, noi non possiamo dedurre che esso sia proprietà primaria dell’oggetto in quanto esso non esisterebbe senza soggetto. Si potrebbe dubitare di questa affermazione: allora anche nel caso della vista, possiamo dire che è il soggetto ad esperire una certa informazione. Il punto è che le proprietà primarie sono indipendenti dal soggetto: che una cosa sia fatta in un certo modo non dipende dalla nostra esperienza di esso. La figura di un’entità la conosco tramite la vista, ma se chiudo gli occhi quell’oggetto mantiene quella figura. Mentre questo non vale, chiaramente, per gli odori: l’odore di una rosa, sebbene sia causata dalla rosa, non è da attribuire totalmente alla rosa né, se la rosa smette di profumare, smette anche di esistere; il contrario si può dire della forma: se la rosa muta forma, cessa anche di esistere.Le qualità secondarie ci informano sulla capacità di alcune cose di modificarne di altre. In questo senso, gli oggetti sono prima di tutto definiti dalle loro proprietà primarie, capaci di darci una definizione “attuale” dell’oggetto, in secondo luogo noi conosciamo anche le modificazioni che gli oggetti sono capaci di arrecare ad altri oggetti, cioè la loro potenza.In ogni caso, sia delle proprietà primarie che delle proprietà secondarie noi le conosciamo solo a partire dall’esperienza. 

Non dipende da nessuna logica il fatto che il mio computer sia grigio, a forma di prisma e relativamente pesante e non verrei mai a saperlo se non l’avessi qui, sotto le mie stesse mani.Le sensazioni, siano esse fonti di conoscenza di proprietà primarie o secondarie, possono essere conservate dalla memoria. Questa è la fonte di ogni informazione non presente immediatamente nei sensi: la memoria è la capacità della mente di ricordare dati di fatti passati. Questa facoltà della mente, tuttavia, non crea nulla di nuovo né può andare oltre i dati esperiti, si limita semplicemente ad essere il magazzino delle informazioni.La conoscenza empirica non si limita al puro e semplice dato osservativo, ma può essere anche il materiale per le nostre idee complesse. Le idee complesse sono tutti gli stati mentali determinati dalla somma di due o più idee semplici. Importante è notare che un’idea semplice può essere anche posta dalla riunione di due proprietà primarie di sensi diversi ( per esempio la conoscenza di un dado proviene sia dalla vista che dal tatto ). Un’idea complessa può essere l’immagine di un dado sul tabellone del risiko.

In questo senso, la nostra mente è in grado di produrre una serie pressoché infinita di idee in quanto è in grado di ricordare un’esperienza passata e di riportarla alla mente, quindi servirsene per unirla ad un’altra idea, presente nella mente o per via sensibile immediata o anch’essa attraverso memoria, quindi produrre una nuova idea. L’immaginazione, così chiamata da Cartesio, è rinominata “riflessione” da Locke. Essa ha una grande importanza. Infatti, gran parte della nostra conoscenza, per il Nostro, è determinata senza dubbio dalla nostra sensibilità, né potrebbe essere altrimenti, ma pure dalla nostra possibilità di relazionare le varie idee e raffrontarle. Per la conoscenza per raffronto concorrono almeno due facoltà della mente diverse: in primo luogo la memoria, in secondo luogo la “riflessione”. Le due idee complesse vengono paragonate, messe a confronto: se la mente trova delle comunanze allora la mente si fa una nuova idea che nasce dal raffronto delle idee, mentre se la mente non trova concordanze non procede oltre.L’idea posta dalla relazione di due idee più complesse è detta “idea astratta” in quanto nasce per “astrazione” dalle singole idee più semplici e diventa l’idea di una classe di idee. E’ da osservare come questa idea sia meno chiara delle idee più semplici, ma è molto utile in quanto agevola nella ricerca delle idee più semplici: quando mi faccio un’idea astratta di “cane” subito posso riportare dalla memoria tutte le idee semplici che vengono sotto di essa. In questo senso, l’idea generale astratta è utile, ma non bisogna pensare che essa sia posta indipendentemente dall’esperienza: non potrei mai avere un’idea astratta senza la conoscenza e il raffronto delle sue idee particolari.Idee semplici, idee complesse, idee generali, idee astratte, idee di relazione: da tutte queste possiamo ricavare ogni forma di conoscenza. 

Così possiamo connettere anche le idee in relazione causale tra loro: una “causa” è quella percezione che determina in noi un mutamento chiamato “effetto”. Senza causa, non c’è in noi alcuna reazione ed il fatto che noi percepiamo un mutamento, è a causa di qualcos’altro. Noi non possiamo andare oltre le nostre sensazioni e, dunque, anche il principio di causa è subordinato alla conoscenza che noi abbiamo attraverso i sensi. Il rapporto di causa ed effetto non è più di “implicazione logica” come per Spinoza, ma di relazione: nella relazione, in generale, non è necessario che il primo termine ponga il secondo o viceversa. Dunque, una relazione, per sussistere, necessita in primo luogo di un soggetto che la ponga e, in secondo luogo, di due “relata”. 

Locke ha una visione “debole” della causalità: egli sostiene che non si possono conoscere le cause degli eventi a priori, ma solo attraverso osservazioni, dunque, la nostra conoscenza della causalità risiede nel fatto che ad una certa percezione, noi ne riceviamo immediatamente un’altra e da ciò la nostra mente è giustificata nel porre in relazione le due idee distinte. Una causa è sempre anteriore all’effetto e la relazione posta tra le due idee non è transitiva, cioè, posta la causa è posto l’effetto, ma se è posto l’effetto non è determinata la causa. La nostra capacità di prevedere il futuro è semplicemente di genere “probabilistica”, non necessaria: noi possiamo legittimamente aspettarci un certo evento, a seguire di un altro, solamente perché in precedenza le nostre percezioni ci hanno suggerito chiaramente questo.

E’ senza dubbio vero che la relazione di causalità è da Locke interpretata in modo più debole rispetto a Cartesio o Spinoza, ma non arriva alla critica humeana: Locke, infatti, nota come le nostre percezioni, sebbene siano interne al soggetto, non si limitano a mostrare la presenza di certe modificazioni inerenti alla mente, ma pure che queste modificazioni non potrebbero avvenire se non in presenza di un oggetto che la pone. In questo senso, la percezione ha come condizione necessaria di esistenza il soggetto, ma non sufficiente: sia senza soggetto che senza oggetto, non si pone alcuna percezione. Dunque, il fatto che noi abbiamo una certa esperienza che non avverrebbe se non in presenza di un’altra, legittimamente suggerisce la presenza di un principio di causalità inerente agli oggetti, sebbene noi non possiamo che supporlo: il limite di ogni nostra conoscenza è l’esperienza ed essa non giunge mai “dentro” la natura degli oggetti, ma si ferma alle loro proprietà. 

Noi possiamo affermare che le nostre percezioni suggeriscono il principio di causalità, ma non possiamo da ciò dedurre che ciò valga anche per la natura delle cose. Non si può non pensare al noumeno kantiano in questa visione lockeana della causalità.

La conoscenza del soggetto

Da questa base “empirista” si procede anche alla conoscenza del soggetto. Il soggetto inizia la propria esperienza nel mondo e apprende molte informazioni dall’esterno.Tuttavia, dopo qualche tempo, la mente è in grado di associare informazioni diverse, come le informazioni che provengono dal tatto e dalla vista per riunirle in un’unica idea complessa. 

Questa capacità di associazione non è interna alla natura della percezione: se noi fossimo dei puri registratori, non saremmo certo capaci di associare o dissociare idee diverse. In questo senso, la mente ha la capacità di “riflettere” sulle cose. Questa possibilità si fonda, in ogni caso, sulla nostra esperienza: senza la conoscenza sensibile la mente non penserebbe ad alcun che.La mente è conscia immediatamente delle sue percezioni e la sua consapevolezza si estende a tutta la sua conoscenza sensibile. La percezione è già, di per sé, atto consapevole: qualsiasi cosa che noi esperiamo è “atto consapevole”. Dunque, anche quando la mente unisce idee semplici di sensi diversi, oppure quando contempla idee complesse, è consapevole di ciò che sta facendo: la mente è incapace di pensare a qualcosa solo quando non contempla alcuna percezione. 

In questo senso, la mente è di per sé consapevole di tutte le sue esperienze, immediate o mediate dalle sue stesse facoltà.La conoscenza della mente di se stessa è mediata dalle esperienze, ma può arrivare a farsi un’idea delle sue possibilità: il fatto che percepisco, indipendentemente dalla percezione, è un atto consapevole e non potrebbe essere altrimenti. Per Locke è cosa assai evidente che la consapevolezza del fatto che si sta percependo sia direttamente posta dall’esperienza. Non c’è motivo di dubbio di ciò: percepisco, dunque, so di percepire.

Dall’evidenza della propria capacità percettiva la mente è in grado di riconoscersi tra le altre cose: noi abbiamo una serie di percezioni di noi stessi, sia interne che esterne, che fanno sì che noi ci riconosciamo come “persona”. L’esser-persona è caratterizzata dalla consapevolezza di essere in un certo tempo e in un certo spazio la stessa entità che si è in un altro tempo e in un altro spazio: io so di essere la medesima persona che ero cinque anni fa perché mi ricordo le mie percezioni di allora. In questo senso, la persona è caratterizzata dalla continuità percettiva, al presente e al passato. “So di essere e di essere stato” è la condizione indispensabile perché una persona si riconosca come tale e sia identificabile dagli altri.

La conoscenza generale

La questione è già stata interamente espressa: la fonte di ogni conoscenza è l’esperienza, sia che questa determini idee semplici o complesse. Ogni idea è nata nella percezione e poi ricomposta dalla mente, conservata dalla memoria. Il linguaggio è capace di trasmettere nuove informazioni solo a patto che ad ogni nome usato da noi, l’interlocutore associ la giusta combinazione di idee. La memoria “estensionale” del linguaggio serve ad immagazzinare informazioni altrimenti facilmente deperibili. Inoltre, il linguaggio ci serve anche ad aiutare le mente nelle dimostrazioni.Le dimostrazioni sono più che altro dei ragionamenti volti a creare un’idea complessa oppure a rendere più chiaro ciò che già sappiamo. Una dimostrazione, in ogni caso, non è indipendente da ogni atto di esperienza, infatti essa ha come presupposto la conoscenza dei singoli passi di essa. Ancora una volta, anche la logica si piega alla conoscenza empirica: essa nasce da quella.Il limite della conoscenza è segnato dalla natura stessa della nostra fonte di informazione: la percezione. 

La percezione ci può indicare al massimo le proprietà primarie e secondarie delle cose, ma non la natura “interna” dell’oggetto. E lo stesso vale per il principio di causalità, che è da riferire ai meccanismi della nostra attività percettiva. In fine, sebbene noi non possiamo avere una conoscenza in atto dell’infinito, cioè di esso noi abbiamo conoscenza per negazione e non per affermazione, possiamo però tendere verso di esso: l’infinito è posto dalla nostra possibilità di ripetere a piacimento un’operazione, in questo modo, possiamo avere una conoscenza pressoché illimitata quantitativamente del mondo in quanto possiamo continuamente esperire nuove percezioni e riflettere esse dentro di noi.

Teoria dell'azione

Locke parla della teoria dell’azione nella sezione “Il potere” del secondo libro del “Saggio sull’intelletto umano”. 

La prima questione è la domanda: la mente è libera? 

Locke sostiene risolutamente che la mente non è sempre libera di pensare ed, in ogni caso, la libertà non dipende dal fatto che la nostra mente pensi questo o quello, ma dal fatto che la nostra azione sia concorde con la nostra volontà.Che la nostra mente sia in grado di “volere” è evidente a tutti, per ciò, non c’è motivo di dubbio nel fatto che la mente voglia o non voglia. Il movente di qualsiasi azione non risiede nella volontà ma dal desiderio.Il desiderio è la sensazione di privazione attuale della mente e ciò determina frustrazione. Ogni azione ha come movente un desiderio a partire dal quale la mente prende atto della necessità di un’azione. Come la mente si rende conto di questo, la volontà si mette in moto.La volontà non ha altre possibilità che seguire il desiderio oppure no. In questo senso, all’interno della volontà, nessuno può non prendere una decisione: o prendo una decisione oppure non prendo una decisione, ma se prendo una decisione allora sto decidendo esattamente come se non prendo una decisione è un atto decisionale, volontario.Se il desiderio determina una reazione positiva da parte della volontà allora l’azione sarà rivolta verso la soddisfazione del bisogno, mentre se la volontà rifiuta l’intervento positivo, la mente e il corpo non si determinano ulteriormente. La volontà, dunque, non è affatto libera in quanto è determinata interamente dal desiderio e pure il desiderio è l’espressione di una necessità in quanto nasce involontariamente nella mente. Dunque, la mente, nell’attività pratica, non è libera.Una volta che il desiderio pone il fine, la volontà determinerà i mezzi, qualora decida di perseguire quell’obbiettivo. 

Tuttavia ciò non è necessario: è possibilità della mente quella di “sospendere”, per qualche tempo, la facoltà decisionale. Questo è molto importante in quanto è il solo modo da parte della conoscenza di avere qualche voce in capitolo all’interno dell’attività pratica. La nostra conoscenza dei mezzi può determinare una migliore o peggiore definizione dei mezzi, in questo modo, tanto più siamo in grado di sapere come stanno le cose e tanto più saremmo in grado di determinarci verso il meglio.Ma la conoscenza, secondo Locke, può anche ambire ad uno spazio maggiore. Infatti, la mente può sentire più bisogni contemporaneamente ed agirà a partire da quello che sente maggiormente pressante: la mente, ancora una volta, non è affatto libera di perseguire il desiderio “migliore”, ma è vincolata verso quello che in quel momento è più frustrante. In questo senso, la mente dovrebbe sempre determinarsi per il peggio in quanto i desideri più istintuali sono, generalmente, anche quelli più forti e pressanti.

Tuttavia, la mente, grazie alla conoscenza, può arrivare a farsi un’idea adeguata dei suoi stessi desideri e delle loro conseguenze: un’azione non è solo un che di immediato, ma è definita dall’insieme delle sue conseguenze. In questo senso, per giudicare rettamente un’azione, non bisogna fermarsi al presente ma calcolare anche le conseguenze future. La mente, se non si attiene puramente al presente, è in grado di comprendere che esistono delle differenze importanti nei fini: esistono fini che sono premi a se stessi, che determinano il bene, ci sono altri desideri che determinano, invece, il male. La mente, se conosce, può determinarsi per il meglio, magari dopo un’adeguata riflessione grazie alla sospensione temporanea della volontà.E’ di capitale importanza osservare che non esiste nessuna azione che non sia determinata da un desiderio di una cosa attuale o di una cosa futura considerata nel presente. Non basta, infatti, sapere che una cosa sia buona per ricercarla, devo anche sentirne il bisogno. Per fare il bene devo anche sentirne il bisogno: a questo serve, in primo luogo, la conoscenza nella sua attività pratica: alla conoscenza dei desideri.In secondo luogo, una volta preso atto di una mancanza, subito la mente prova dolore e, dunque, è tutta tesa alla ricerca di un rimedio per esso. La volontà prenderà una decisione in merito e, se non ci saranno altri desideri concomitanti o non ci sarà alcuna sospensione dell’atto decisionale, la mente si determinerà per sanare il desiderio. Ecco che anche qui la conoscenza entra in gioco: essa cercherà di definire al meglio i modi attraverso cui arrivare all’obbiettivo: per arrivare all’obbiettivo non basta fissarlo, ma anche conoscere la sequenza giusta di passi per raggiungerlo. In questo, una differenza di conoscenza può essere importante in quanto essa può arrivare al fine solo se è conscia di ciò che si deve fare per ottenerlo.

La mente, per Locke, è determinata in tutto dalla sua stessa natura. Non c’è alcuna libertà nella mente né nel corpo. Chiamiamo “azione libera” quell’evento posto da un soggetto volontario che ha agito in aderenza con la propria volontà. Il fatto che il corpo agisca secondo principi necessari e, dunque, ne determinino il comportamento in maniera inequivocabile, non è ancora sintomo di assenza di libertà: posso, per esempio, essere costretto dagli insegnanti di scuola ad ascoltare il quinto concerto di Beethoven. Ma se questa azione fosse concorde con la mia volontà, magari quel concerto è il mio preferito, allora sarebbe libera. Mentre non è libera quell’azione che va contro la mia volontà. In questo senso, la libertà è la relazione che v’è tra l’interiorità del soggetto e l’esterno: se interno ed esterno sono concordi allora l’azione è libera, se discordi, allora l’azione è coatta.

Locke, come Spinoza, concepisce la libertà a partire dalla necessità: il mondo si svolge secondo una necessità. Ogni evento del mondo ha una causa tale per cui ad ogni evento ne segue un altro e non potrebbe essere altrimenti. In questo senso, il mondo, per Locke, è interamente determinato dal passato e anche l’azione umana è determinata in tutto dalla necessità: il desiderio la mente non lo crea dal nulla ma lo deve già avvertire dentro di sé, allo stesso modo dicasi per la determinazione della volontà: essa non può non prendere una decisione, non farlo sarebbe impossibile. Dunque, è la necessità domina ubiquamente tutto.Ma la libertà non è del tutto annullata e si misura in base alla propria conoscenza: tanto più conosco e tanto più sono in grado di determinarmi in modo aderente alle circostanze. In primo luogo, sarò in grado di conoscere adeguatamente quale desiderio è più positivo, quale determina il bene maggiore. In secondo luogo, sono in grado di compiere azioni sapendo bene ciò che accadrà e, dunque, sarò in grado di controllarne gli effetti indesiderati. E gli effetti di tale forma di “razionalismo” si vedono qualora immaginiamo come potrebbe agire un ignorante: 

(1) sarà del tutto incapace di riconoscere quei desideri che determineranno il maggior bene futuro e, dunque, saranno vincolati a seguire il desiderio che li frustra di più nel presente; 

(2) sarà spessissimo incapace di sapere prima l’accadimento delle cose future e così sarà facile che incorra in errori sgradevoli; 

(3) sarà del tutto incapace di determinare i mezzi per raggiungere il fine e, di conseguenza, sarà spesso impossibilitato a raggiungere l’obbiettivo prefissatosi.

La libertà è determinata dalla conoscenza e, non a caso, nel “Trattato sul governo”, Locke insisterà sulla coincidenza di “libertà” e “ragione” e del fatto che il diritto naturale si fondi proprio sulla “libertà” in quanto colui che è libero è in grado di “intendere e di volere”, nel senso che è capace di decidere e conoscere le proprie azioni. Per tale ragione egli è portatore di diritti e riconosce quelli degli altri, cosa che è impossibile tanto per i fanciulli che per i deficienti, che non godono di diritti. Il fanciullo acquista la propria libertà proprio a partire dal riconoscimento della ragione sua e non precedentemente. Proprio per questo, il fanciullo è affidato alle amorevoli cure dei genitori, fino a che non sarà indipendente da essi nel pensiero.

Bibliografia