René Descartes

Cartesio è stato giustamente chiamato «il padre della filosofia moderna» perché dal suo pensiero prendono le mosse tutti i maggiori pensatori del Seicento e del Settecento. Studioso di matematica e geometria prima ancora che filosofo, vide nel metodo matematico la via più rigorosa per giungere a verità indiscutibili e pertanto auspicò l’estensione del metodo matematico alla filosofia, secondo i criteri della «chiarezza e della distinzione».Ma, mentre il contemporaneo Galileo aveva senz’altro accettato il metodo matematico per lo studio della natura senza indagarne la fondatezza, Cartesio si propose di esaminare da filosofo la validità dell’esigenza geometrica e matematica, movendo dal presupposto che anche la più evidente delle affermazioni aritmetiche potrebbe essere un’illusione, un inganno giocato da un genio maligno, che ci fa apparire come vero e reale ciò che può avere soltanto la illusorietà di un sogno.

È questo il «dubbio metodico» esteso a tutti i dati della conoscenza; ma esso non è fine a se stesso, come per gli scettici, poiché deve servire a superare le incertezze e le perplessità per approdare al possesso di una salda verità, inattaccabile da ogni scetticismo. 

Cartesio ritiene di poter trovare una sola realtà capace di sottrarsi al dubbio: questa realtà è il pensiero, perché il fatto che il soggetto dubiti, e quindi pensi, garantisce chiaramente l’esistenza del soggetto stesso. «Cogito, ergo sum», «Penso, quindi sono» è la prima salda certezza che il dubbio non può scalfire, proprio perché il dubitare è pensare. Ma la certezza di «me pensante», di me come «res cogitans», afferma Cartesio, non mi può dare immediatmente la certezza che i contenuti del mio pensiero, cioè il mondo, i rapporti logici, ecc., siano altrettanto validi. L’«io» è inizialmente come chiuso in se stesso, ricco solo della certezza di sé; ma per Cartesio l’io deve diventare il principio di ricerca della validità di tutto ciò che lo circonda. Egli perciò esamina e studia i contenuti del pensiero, cioè le idee, che divide in tre classi:

  • idee innate, cioè spontaneamente presenti al pensiero;
  • idee avventizie, cioè formatesi attraverso l’esperienza;
  • le idee fittizie, cioè arbitrariamente e composte dal soggetto.

In base al principio del dubbio metodico, il soggetto non può sapere se realmente esistano fuori di sé le cose rappesentate dalle idee, se cioè all’idea di stelle, cavallo ecc., corrisponda veramente una qualche realtà oggettiva.Ma se questo vale per tutte le idee, non vale per l’idea innata che si ha di Dio, perché è l’idea della perfezione totale, della onnipotenza e dell’onniscienza e pertanto il soggetto non può averla creata da sé.

Fuori di se stessi, al di sopra di sé, deve quindi esistere Dio, come realtà certissima e anch’essa inattaccabile dal dubbio.Cartesio offre altre prove dell’esistenza di Dio, tutte basate sull’idea che il soggetto ne possiede; ma in lui questa ricerca del divino non nasce da un’esigenza teologica come poteva accadere per gli scolastici medievali, quanto piuttosto dalla necessità di reperire una garanzia dell’esistenza e della concreta realtà oggettiva del mondo.Dio, infatti, in quanto essere perfetto, buono e verace non può ingannare il pensante e la sua esistenza garantisce che tutto ciò che appare come chiaro ed evidente esiste realmente. In questo senso possiamo veramente applicare a tutti i campi del sapere il metodo geometrico-matematico.

Il mondo esterno è per Cartesio riducibile all’estensione corporea, la rex extensa, che coincide rigorosamente con lo spazio e che quindi esclude in modo assoluto l’ipotesi del vuoto.Pertanto la filosofia di Cartesio sfocia in un dualismo tra pensiero (res cogitans) e materia (rex extensa) che crea una serie di gravi difficoltà, perché l’estensione corporea, che è meccanicismo e passività, non può agire sul pensiero, che è inesteso, e viceversa.

Cartesio volle dare una soluzione tutta verbale al problema dicendo che lo spirito, cioè il pensiero, agisce sul corpo attraverso la «ghiandola pineale»; ma in realtà il problema rimase aperto e diede luogo a una serie di approfondimenti da parte dei filosofi posteriori come Spinoza e Leibniz. La fisica cartesiana ritiene che tutto l’universo sia un gigantesco meccanismo, una volta per tutte messo in moto da Dio. Questa tesi, anche se più tardi superata, ebbe il merito di unificare sotto un unica prospettiva tutti i fenomeni del cosmo.

Cartesio non trattò la morale in un’opera a parte; ma al problema etico accenna nel Discorso sul metodo, nelle Passioni dell’anima e in molte lettere nelle quali afferma la necessità di adottare una «morale provvisoria», in attesa di avere un sistema totale di verità che permetta l’adozione di una morale definitiva.Questa morale è venata di stoicismo ed è animata da una chiara esigenza razionalistica, in quanto il filosofo tende a identificare la virtù con l’accettazione della ragione.

Cogito ergo sum

Nel 1604 entra nel collegio dei Gesuiti di La Flèche e qui rimane fino al 1612. In seguito, nel Discorso sul metodo, Cartesio stesso condurrà una serrata critica ai metodi e ai contenuti dell’educazione ricevuta nel collegio di Gesuiti, ritenendoli  non adatti a promuovere lo spirito critico degli allievi. Tra il 1619 e il 1630 Cartesio compone Regole per dirigere l’ingegno. In questo periodo Cartesio è nella milizia e partecipa alla Guerra dei trent’anni, ma il costume militare del tempo lascia ai nobili ampia libertà e il filosofo può quindi viaggiare a suo piacimento per tutta l’Europa, dedicandosi agli studi di matematica e di fisica, e continuando al elaborare una propria dottrina del metodo.

Nel 1628 si stabilisce in Olanda, sia per godere di quella libertà filosofica e religiosa che è caratteristica del paese sia per poter lavorare a proprio agio, senza essere distratto da quegli obblighi di società che a Parigi e in provincia gli ruberebbero molto tempo.Nel frattempo ha iniziato a comporre un trattato di metafisica e ha ripreso lo studio della fisica: pensa di scrivere un trattato sul mondo e di intitolarlo Trattato della luce. Ma la condanna di Galilei (22 giugno 1633) lo induce ad abbandonare l’idea di pubblicare l’opera, nella quale sostiene la dottrina copernicana. In seguito sceglie di divulgare almeno alcuni dei risultati raggiunti, articolandoli nei tre saggi sulla Diottrica, sulle Meteore, e sulla Geometria; a queste tre opere premette una prefazione intitolata Discorso sul metodo, pubblicata a Leida nel 1637.Riprende poi, e conclude, la stesura del trattato di metafisica pubblicato nel 1641 con il titolo Meditazioni sulla filosofia prima.

Più tardi Cartesio rielabora il trattato sul mondo dandogli la forma di un sommario destinato alle scuole: i Principi di filosofia (1644). La corrispondenza intrattenuta con la principessa Elisabetta del Palatinato gli suggerisce poi l’idea della monografia psicologica Le passioni dell’anima, pubblicata nel 1649. In questo stesso anno il fiolosofo cede ai ripetuti inviti della regina Cristina di Svezia e va a stabilirsi presso la sua corte. Nell’ottobre egli giunge a Stoccolma, ma nel rigido inverno nordico si ammala di polmonite e l’11 febbraio 1650 muore.Cartesio nei suoi scritti parla in prima persona: non vuole insegnare, ma descrivere se stesso.
Il suo disagio nasce dal senso di disorientamento avvertito al termine della scuola di La Flèche, presso la quale aveva assimilato con successo il sapere del suo tempo senza acquisire, tuttavia, alcun criterio per distinguere il vero dal falso. Infatti, Cartesio afferma che la filosofia debba essere non puramente speculativa, ma anche pratica, per la quale l’uomo possa rendersi padrone e possessore della natura.

Di conseguenza il metodo deve essere un criterio di orientamento unico e semplice, che aiuti l’uomo tanto in campo teorico quanto in campo pratico e che abbia come ultimo fine il vantaggio dell’uomo nel mondo.
Questo è ciò che scrive nelle Regole per dirigere l’ingegno assieme alla consapevolezza che la saggezza umana è una sola, quali siano gli oggetti a cui si applica, perché uno è l’uomo nelle sue svariate attività. 

Essendo la matematica già in possesso del metodo, basterà comprenderlo, astrarlo, giustificarlo e ricondurlo all’uomo.Quelle che seguono sono le regole del metodo cartesiano:

  • evidenza: accettare come vero solo ciò che risulta evidente, ossia chiaro e distinto, escludendo ogni elemento su cui sia possibile qualche forma di dubbio;
  • analisi: suddividere ogni problema complesso nei suoi elementi più semplici;
  • sintesi: risalire dal semplice al complesso;
  • enumerazione e revisione: enumerare tutti gli elementi individuati mediante l’analisi e rivedere tutti i passaggi della sintesi.

Il metodo, però, non ha in sé la propria giustificazione, ma esige di essere filosoficamente legittimato. Risale, perciò, all’uomo come soggettività, o come ragione.Cartesio ritiene sia necessario operare una critica radicale di tutto il sapere già dato e, quindi, dubitare di tutto e considerare almeno provvisoriamente come falso tutto ciò su cui il dubbio è possibile. Se si troverà un principio che resiste al dubbio, esso sarà saldissimo tale da poter essere assunto a fondamento di tutte le altre conoscenze. Da qui il nome del dubbio metodico, che inizialmente riguarda le conoscenze sensibili, ma che con l’ipotesi del genio maligno – una potenza malvagia, che avrebbe potuto creare l’umanità (non essendo l’uomo a conoscenza della propria origine), facendoci apparire chiaro ed evidente ciò che è falso e assurdo –  si estende anche alle conoscenze matematiche e diviene dubbio iperbolico o universale.L’unica verità che si sottrae al dubbio (in quanto il dubbio stesso la conferma) è la seguente: cogito ergo sum¹ (penso dunque sono). Una dichiarazione rivoluzionaria rispetto al credo filosofico-teologico allora dominante, che poneva al centro non la relatività e la responsabilità del soggetto, ma l’autorità di Dio e della legge religiosa.

Cogito ergo sum, “Penso dunque sono”; la celebre massima è parte di una frase più ampia del filosofo francese Cartesio che recita dubito ergo sum, vel quod item est, cogito ergo sum, “dubito dunque sono, o ciò che è lo stesso, penso dunque sono”.L’espressione significa che posso dubitare di tutto, ma non del fatto che sto dubitando, cioè che sto pensando; ma se penso (cogito) esisto (sono) (sum), quindi la capacità di dubitare fonda la certezza di esistere.

Bibliografia