Oratore, scrittore e uomo politico latino (Arpino 106 a. C. - Formia 43 a. C.). Nato da una facoltosa famiglia equestre, ebbe grandi maestri. A Roma frequentò, in vista della carriera politica, i maggiori oratori del tempo: Marco Antonio e Licinio Crasso, i giureconsulti Marco Muzio Scevola l'Augure e Quinto Muzio Scevola il Pontefice, e successivamente il retore Molone, caposcuola di Rodi. Ma cercò anche di acquistare una più vasta cultura, letteraria e filosofica, seguendo le lezioni dei maggiori interpreti delle varie scuole di pensiero greco presenti a Roma tra il 90 e l'80: l'epicureo Fedro, lo stoico Diodoto, l'accademico Filone di Larissa.
Questi studi proseguirono in Grecia e in Oriente dal 79 al 77, soprattutto nei contatti che ebbe ad Atene con Antioco di Ascalona, capo dell'Accademia dopo Filone, e con lo stoico Posidonio a Rodi. Qui maturò da un lato la sua adesione al genere oratorio detto appunto rodio (mediano tra atticismo e asianesimo), dall'altro l'ideale di una cultura enciclopedica, quale s'incarnava nello stesso Posidonio. L'eclettismo, in retorica come in filosofia, sarà del resto una delle costanti di Cicerone. Se mai, nella filosofia, dimostrò simpatie più spiccate per l'accademica, allora in una fase piuttosto critica ed eclettica; mentre avversò più aspramente l'epicureismo per il suo scetticismo metafisico e soprattutto per la sua morale individualistica ed edonistica, in netto contrasto con le virtù e il senso della collettività, tipicamente romani. Tornò a Roma nel 77 e sposò Terenzia, donna ricca e autoritaria. Nell'80, sotto Silla, difese con successo Roscio di Ameria (orazione Pro Sexto Roscio Amerino), accusato di parricidio da un protetto del dittatore.
Nel 75 ottenne la questura di Lilibeo, in Sicilia, dove si distinse per la sua integrità. Cinque anni dopo i Siciliani gli affidarono l'accusa di malgoverno contro un loro ex governatore, Gaio Verre, difeso dal grande Ortensio Ortalo. Delle sette orazioni (Verrine) scritte in quell'occasione, solo due vennero pronunciate (Divinatio in Q. Caecilium e Actio prima in Verrem); le altre cinque (Actio secunda) furono prevenute dalla partenza dell'accusato, ormai senza speranza, per un esilio volontario. Nel 69 divenne edile, nel 66 pretore. Si pronunciò in quell'anno, con l'orazione Pro lege Manilia, in favore del trasferimento del comando della guerra contro Mitridate da Lucullo a Pompeo. Nel 64 ottenne il favore dei nobili per l'elezione a console, contro Catilina. Venne la nomina, e l'anno del consolato, il 63, si svolse in un'attività intensissima, sia politica sia giudiziaria.
Difese Gaio Rabirio (Pro Rabirio perduellionis reo), attaccato per aver ucciso Saturnino nel 100, quando questi era stato dichiarato nemico dello Stato; ma, soprattutto, nel novembre smascherò la congiura di Catilina, capo del partito popolare, con quattro orazioni (Catilinarie), due pronunciate davanti al Senato e due davanti al popolo. Catilina veniva bandito da Roma, poi sconfitto con le sue truppe e ucciso in battaglia; alcuni congiurati venivano fatti condannare e giustiziare da Cicerone. Queste orazioni rappresentano forse il vertice dell'oratoria ciceroniana. Alla formazione del primo triumvirato (60) tra Cesare, Pompeo e Crasso, Cicerone non prese subito una posizione netta. Ne approfittò un tribuno, Publio Clodio, per proporre nel 58 una legge per cui veniva condannato all'esilio chiunque avesse fatto uccidere un cittadino romano senza la regolare sanzione del popolo.
Cicerone, implicato nell'esecuzione sommaria dei catilinari, su consiglio di Catone e abbandonato da tutti lasciò Roma per Tessalonica, e di lì per Durazzo. Per decreto dei comizi poté tornare a Roma nell'agosto del 57 e per riottenere i suoi beni distrutti dai clodiani pronunciò i quattro discorsi Post reditum; successivamente, le orazioni Pro Sextio, In Vatinium testem, Pro Caelio, accusato di veneficio da Clodia, sorella di Clodio, la famosa Lesbia di Catullo; e altre in difesa poi dello stesso Vatinio, di Aulo Gabino e di Gaio Rabirio.
Nel 52, infine, assunse la difesa del tribuno Annio Milone, che in una rissa sulla via Appia aveva ucciso Clodio: l'orazione, Pro Milone, è una delle più celebrate di Cicerone, anche se non ottenne fortuna nel processo. All'insorgere della rivalità tra Cesare e Pompeo, cercò di mantenersi in buoni rapporti con entrambi; già con l'orazione De provinciis consularibus, nel 56, aveva proposto e ottenuto in Senato la conferma a Cesare del governo della Gallia. Alla fine del 52 lasciò riluttante l'Italia per andare a governare la provincia di Cilicia, nell'Asia Minore, vasta e minacciata d'invasione dai Parti. All'inizio del 50 era nuovamente nel Lazio, e allo scoppio delle ostilità fra Cesare e Pompeo seguì quest'ultimo in Grecia. Una malattia gli impedì di prender parte alla battaglia di Farsalo (48); dopo la sconfitta tornò in Italia, ben accolto dal vincitore (47) al quale tributò elogi nel Brutus. Durante la dittatura di Cesare si astenne dalla vita politica, immergendosi invece negli studi; difese però davanti al dittatore alcuni personaggi che gli si erano dimostrati ostili (orazioni Pro Marcello, Pro Ligario nel 46, e Pro rege Deiotaro nel 45).
La sua vita privata era nel frattempo sconvolta dal divorzio da Terenzia (seguito dal matrimonio con la giovane e ricca Publilia, da cui pure ben presto divorziò) e dalla morte dell'amatissima figlia Tulliola. L'uccisione di Cesare in Senato, il 15 marzo del 44, lo trasse da quest'ozio operoso, durante il quale scrisse la maggior parte dei suoi trattati retorici e filosofici (De consolatione, Hortensius, Academica, De finibus bonorum et malorum). Dopo un breve viaggio in Sicilia, a Roma lanciò una serie di violenti attacchi (Filippiche) contro Marco Antonio, erede del dispotismo cesariano: il 2 settembre pronunciò in Senato la prima Filippica, che riprendeva il titolo e il tono delle orazioni di Demostene contro Filippo re di Macedonia; quindi scrisse la seconda e recitò via via in Senato le altre (sono in totale 14), capeggiando il partito repubblicano. Ma quando Ottaviano si accordò con Antonio e Lepido per formare il secondo triumvirato, fu incluso nelle liste di proscrizione e colpito a morte da sicari di Antonio presso la sua villa di Formia. Il giudizio su un personaggio estremamente complesso come Cicerone è difficile e controverso. Debolezza di carattere, vanità, incomprensione del momento politico, cultura ampia ma scarse capacità speculative: queste e altre sono le valutazioni negative che spesso vengono formulate. Non si può però misconoscere la grande importanza della sua figura politica e della sua attività nell'ambito della letteratura latina, come stilista, come studioso di retorica e di filosofia, come divulgatore della cultura greca a Roma.
Per coglierne gli aspetti, talora assai intimi, molto serve l'ampio epistolario, pubblicato dal suo segretario Tirone: 16 libri Ad Familiares (le due mogli, i due figli, gli amici), dal 62 al 43 a. C.; 16 libri Ad Atticum (Tito Pomponio Attico, l'amico e confidente più importante), dal 68 al 44; 3 libri Ad Quintum fratrem, dal 60 al 54; 2 libri Ad Brutum (il capo della congiura anticesariana, caduto a Filippi), del 43. Nell'antichità si conoscevano però più di 30 altri libri di lettere di Cicerone, anche a personaggi importanti come Cesare, Pompeo e Ottaviano. Certo questo epistolario, scoperto in buona parte da Petrarca nel 1345, risulta soprattutto un grande documento storico e umano, cui giovano la freschezza e l'immediatezza della scrittura. Ben più elaborate sono le orazioni. In esse, più che agli argomenti giuridici, l'oratore si affida alle sue capacità emotive, alle invettive, ai tratti spiritosi, all'armonia e all'eleganza del periodare: un'oratoria forbita e insieme concreta, di grande efficacia. Della tecnica oratoria Cicerone si occupò anche in una serie di trattati: convinto che la sostanza morale dell'individuo trovi lo specchio più proprio nella parola, messa a servizio della comunità civica, rappresentata elettivamente nell'attività forense, egli concepì l'educazione integrale come tirocinio di raffinatezza oratoria. In gioventù concepì una trattazione completa della retorica, di cui scrisse solo 2 libri De inventione.
Nel 55 compose in forma dialogica (un dialogo immaginario tra gli oratori Lucio Licinio Crasso, Marco Antonio e altri) i 3 libri De oratore, il suo capolavoro in materia: nel primo libro si tratta degli studi necessari a un oratore, nel secondo del modo di trattare gli argomenti delle orazioni, nel terzo della forma e della recitazione del discorso. Nel 46 compose il Brutus, una storia dell'eloquenza romana; l'Orator, dedicato ancora a Marco Bruto, che offre un'ampia trattazione del ritmo della prosa latina e delinea il ritratto ideale dell'oratore; e infine il De optimo genere oratorum, in polemica contro gli atticisti, i quali si proponevano a modello Lisia con esclusione di Demostene ed Eschilo (le simpatie di Cicerone, pure legato alla posizione dell'oratoria rodiense, andavano invece se mai allo stile più ampio ed emotivo degli asiani). Una varietà di spunti, secondo il probabilismo della Nuova Accademia, sullo sfondo di interessi politici ed etici, propri dei Romani, caratterizza anche le opere politiche e filosofiche di Cicerone, per lo più scritte esse pure in forma di dialogo.
Le prime, composte quasi contemporaneamente a quelle di retorica, sono: De Republica, in 6 libri di cui possediamo solo ampi frammenti, dialogo che s'immagina tenuto nel circolo di Publio Scipione Emiliano, sulla migliore forma di costituzione d'uno Stato che viene riconosciuta in quella della Repubblica romana e che si chiude col racconto, fatto da Scipione stesso, di un sogno, Somnium Scipionis, in cui il suo avo, Scipione Africano, gli mostra come il servizio reso allo Stato fosse la via sicura per ascendere dopo morti al cielo dei beati; e De legibus, di cui abbiamo 3 libri (pervenutici incompleti) sulle origini e le varie forme del diritto, che vuole integrare il De Republica.
Tra le opere filosofiche, scritte negli ultimi anni di vita, le più celebri sono: Academica, sul problema della conoscenza secondo la Nuova Accademia; De finibus bonorum et malorum, in 5 libri, sul problema del massimo bene e del massimo male secondo le principali scuole filosofiche; Tusculanae disputationes, in 5 libri, in cui sono raccolte immaginarie discussioni tenute nella villa ciceroniana di Tuscolo, sul disprezzo della morte, sulla sopportazione del dolore, sull'addolcimento degli affanni, sui turbamenti dello spirito e sul valore della virtù per la felicità dell'uomo; De natura deorum in 3 libri, con le opinioni degli epicurei, degli stoici e degli accademici sulle divinità; De officiis, in 3 libri dedicati al figlio Marco e riguardanti problemi morali (i doveri nel loro rapporto con l'utilità e l'onestà); e i due brevi dialoghi Cato Maior de senectute e Laelius de amicitia. Per queste opere spetta a Cicerone il merito di aver divulgato la filosofia nella cultura romana, della quale individua le componenti principali nella sua congenialità con i problemi morali (di qui l'entusiastico consenso alle dottrine stoiche) e nella dottrina dell'innatezza del senso comune, che diventa consensus gentium, valido come prova delle proprie dimostrazioni. La validità di Cicerone filosofo è in questa sua capacità di enucleare in un armonico eclettismo le caratteristiche fondamentali del popolo romano. A questo umanesimo eclettico e sincretistico Cicerone dovrà pure la sua profonda influenza sulla cultura umanistica e rinascimentale (come è manifesto, per esempio, in Petrarca e in Erasmo).