Per educare alla non violenza è necessario lavorare fin dall'infanzia sulla creazione di relazioni positive e paritarie.
L’esercizio della cooperazione e della condivisione, l’abitudine all’ascolto partecipe, all’empatia, al rispetto, soprattutto se promossi sin dalla tenera età, incentivano lo sviluppo di un clima di accoglienza, prevengono fenomeni di discriminazione ed esclusione e favoriscono la capacità di stare in una relazione in cui la forza personale non si traduce e non si esprime nel dominio sull’altro.
Affrontare con bambini, bambine e adolescenti i temi dell’educazione al rispetto, fornendo la possibilità di sperimentare un ambiente accogliente e non giudicante, consentirà loro di procedere verso una destrutturazione dei ruoli e delle relazioni basate su stereotipi per poter sperimentare modalità di relazione con se stessi e con l’altro basate su criteri di libertà e responsabilità e di costruire una società accogliente, inclusiva e non violenta.
Fin dall'infanzia si possono creare occasioni di confronto per educare alla non violenza. Il lavoro di sensibilizzazione e prevenzione necessario per il contrasto alla violenza maschile sulle donne e l’educazione a relazioni non violente passa per la possibilità offerta alle nuove generazioni, di riflettere su se stessi e sul rapporto con gli altri.
Uno degli aspetti fondamentali per educare alla non violenza, è quello di sviluppare la capacità di costruire relazioni basate sui principi di parità, equità, rispetto, inclusività, nel riconoscimento e valorizzazione delle differenze, così da promuovere una società in cui il libero sviluppo di ciascun individuo avvenga in accordo col perseguimento del bene collettivo.
L’educazione dei bambini e delle bambine al rispetto di genere e il contrasto alla violenza domestica non può essere efficace a meno che non si operi soprattutto sui modelli culturali che sottendono, promuovono, e riproducono disparità di genere nella società. L’azione di prevenzione deve articolarsi in percorsi educativi, orientati soprattutto a bambini, bambine e adolescenti, volti all’esplorazione, all’identificazione e alla messa in discussione dei modelli di relazione convenzionali, degli stereotipi di genere e dei meccanismi socio-culturali di minimizzazione e razionalizzazione della violenza.
È importante che l’educazione alle differenze e al rispetto di queste sia trasversale alle discipline scolastiche che e abbia carattere di continuità tra i diversi gradi di istruzione, sia progettata singolarmente o, ancora meglio, in rete, in collaborazione con enti locali, servizi territoriali, organi di polizia, associazioni.
La violenza di genere è un fenomeno strutturale che affonda le sue radici nella disparità storica tra uomini e donne. Questa disuguaglianza ha una matrice socio-culturale basata sugli stereotipi di genere, che al contempo la generano e la riproducono, come sottolineato anche dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul).
Riconoscere i meccanismi che stanno alla base della violenza e, soprattutto, riconoscere quanto essi siano radicati culturalmente, seppur inconsapevolmente, in ogni individuo è essenziale per riflettere su quanto gli stereotipi e i pregiudizi influiscano sul nostro comportamento, sulle relazioni che intessiamo e, in generale, sulle scelte personali che compiamo.
Stereotipi e pregiudizi, infatti, condizionano pensieri ed azioni, costituiscono i mattoni con cui vengono costruiti i muri che separano le persone, impediscono la reciproca conoscenza, e incentivano dinamiche di giudizio e di conseguente non accettazione nei confronti di ciò che è diverso. Rappresentano, dunque,un ostacolo alla libera espressione di pensieri, emozioni, convinzioni personali, contribuendo a costruire una società basata sui limiti imposti da una rigida definizione dei ruoli, che si traducono in un terreno di facile sviluppo di comportamenti violenti.
La non violenza si definisce, quindi, come valore, come prassi e come scopo: una scelta etica, che si traduce in azioni e comportamenti, finalizzati al raggiungimento di obiettivi di giustizia sociale.
Come riconoscere i segnali della violenza domestica
L’espressione violenza domestica designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo famigliare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima. Essa è infatti anche definita violenza da partner intimo ed è statisticamente agita, in termini significativi, più frequentemente dagli uomini sulle donne.
L’articolo 3 della Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (c.d. Convenzione di Istanbul) del Consiglio d’Europa con l’espressione “violenza nei confronti delle donne”, di cui la forma domestica è una declinazione, designa una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita privata.
La violenza maschile sulle donne non rappresenta un’emergenza, ma un fenomeno strutturale caratterizzato da una natura multifattoriale al cui interno sono ravvisabili aspetti sociali, culturali politici e relazionali che sono tra loro interdipendenti. Un’emergenza, infatti, si caratterizza per un durata definita nel tempo, ha un inizio e una fine, rappresenta una perturbazione dello stato naturale delle cose. La violenza contro le donne, compresa la sua declinazione domestica, invece, è un fenomeno sistemico, che affonda le proprie radici nella costruzione sociale e culturale della disparità di potere tra i generi presente a tutte le latitudini, trasversale ad aree geografiche, condizioni socioeconomiche, religione.
Le statistiche, infatti, indicano dati allarmanti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato come la percentuale di donne vittime di violenza fisica e/o sessuale da partner sessuale e da non partner arrivi al 35%, mentre la stima rilevata dall’ultima indagine Istat indica per l’Italia una percentuale pari al 31,5%. In sostanza, sia a livello globale che in Italia, una donna su tre subisce violenza almeno una volta nella vita.
La violenza domestica può assumere diverse forme che possono essere presenti singolarmente o manifestarsi tutte contemporaneamente. Oltre alla violenza fisica, maggiormente riconosciuta poiché lascia segni sul corpo, e alla violenza sessuale, spesso presente ma non riconosciuta quando agita da un partner intimo, la violenza psicologica rappresenta una forma di maltrattamento altrettanto diffusa, sebbene più subdola e complessa da riconoscere, che può manifestarsi attraverso una serie di atteggiamenti intimidatori e di controllo, volti a isolare e indebolire la vittima. Un’ulteriore forma di violenza è quella economica che mira al controllo della partner tramite privazione o limitazione nell’accesso alle disponibilità economiche proprie o della famiglia. Un’altra forma di violenza fortemente diffusa e di recente riconoscimento giuridico è rappresentata dagli atti persecutori, riconducibili alla fattispecie di reato di stalking.
La violenza domestica si manifesta attraverso alcuni importanti segnali che è bene non sottovalutare.
Il modello della “Spirale della violenza” illustra accuratamente l’andamento della dinamica: la violenza, infatti, non si manifesta sempre esplicitamente sin da subito, ma presenta un’escalation di gravità ed evolve articolandosi in più fasi.
La prima fase prevede un graduale aumento della tensione caratterizzato da liti frequenti e da tentativi della vittima di disinnescare la tensione, segue poi la fase dell’aggressione, in cui si manifestano i comportamenti violenti, e infine si giunge alla fase del pentimento e della riconciliazione, in cui l’aggressore chiede scusa e si pente del proprio comportamento. In alcuni casi il partner abusante prova vergogna e fa promesse di cambiamento, in altri, invece, colpevolizza la vittima definendola come la responsabile delle azioni che lui ha compiuto.
Queste fasi si presentano alternandosi e seguendo un andamento ciclico. Infatti, isolamento, intimidazioni, minacce, ricatto dei/lle figli/e, aggressioni fisiche e sessuali si intervallano spesso a false riappacificazioni, momenti di relativa calma in cui la coppia vive la cosiddetta “fase della luna di miele”, questo processo contribuisce a confondere la donna, aumentandone al contempo l’insicurezza.
La violenza domestica, quando agita contro una donna che è anche madre, non colpisce solo i singoli membri della diade, ma è sempre anche un attacco alla relazione mamma-bambino/a.
Le aggressioni, fisiche o psicologiche che siano, creano un clima di terrore e pericolo all’interno della casa, minano alla base l’autostima e l’identità stessa della donna, che viene squalificata anche relativamente alle proprie competenze genitoriali, e possono impedire lo sviluppo di un rapporto sereno tra la mamma e i suoi figli e figlie.
Per i bambini e le bambine che assistono alla violenza nei confronti della madre si configura un trauma complesso che riverbera i suoi effetti a livello emotivo, cognitivo e relazionale, con un alto rischio di trasmissione intergenerazionale della violenza.
Affrontare il problema della violenza domestica significa quindi uscire dalla dinamica privata e procedere, prima di tutto, verso una messa in discussione di modelli sociali e culturali profondamente radicati ed estremamente diffusi. In questo senso, risulta fondamentale il concetto di empowerment, inteso come processo finalizzato a modificare le relazioni impari di potere tra uomini e donne nei diversi contesti del vivere sociale e personale. Infine, risultano necessari interventi di sensibilizzazione della popolazione, educazione al rispetto sin dalla prima infanzia, formazione del personale e promozione di politiche che garantiscano pari opportunità.