Che cosa succede in Siria? La guerra, i profughi, la pandemia

Il mondo, ripiegato su se stesso ad affrontare il COVID-19, ha distolto ogni attenzione dalle crisi in corso prima di questa pandemia. In Siria, i contagi da Coronavirus hanno avuto quasi più risonanza dell’ennesimo atto della sua guerra. L’offensiva avvenuta nei primi mesi del 2020 nel nord-ovest del paese, nelle province di Idlib e di Aleppo, ha causato almeno 400 vittime e quasi un milione di rifugiati, ammassatisi con temperature sotto zero al confine con la Turchia. Dopo la grande migrazione via terra lungo i Balcani di cinque anni fa, l’Europa, a parte accogliere qualche migliaio di richieste di asilo, ha praticamente chiuso le porte ai siriani. Ad aprile 2020 la priorità è diventata quella di evitare che il sovraffollamento e le precarie condizioni sanitarie favoriscano un’esplosione del Coronavirus nei campi profughi informali in Turchia e in Siria: un paese quest’ultimo dove la metà degli ospedali è stata distrutta dalla guerra, quasi tre quarti del personale medico è fuggito o è morto e dove le organizzazioni umanitarie ormai operano al minimo indispensabile.Come si è arrivati a quest’ultimo disastro? Vediamo che cosa sta succedendo in Siria.

Il governo di Assad e l’offensiva su Idlib

Circa un anno fa, il presidente siriano ha ordinato all’esercito la riconquista di Idlib. Si trattava della chiusura di un piano che ha riportato sotto il controllo governativo circa l’80% del paese. Dopo anni di assedi militari a varie città in mano ai ribelli, infatti, il regime di Bashar al-Assad ha proposto ai gruppi armati di evacuare dalle aeree assediate in cambio di un salvacondotto. In tal modo, ha ripreso il pieno controllo di alcune aree alla periferia di Damasco e poi, verso nord, delle province di Homs, Hama e Aleppo e, a sud, di Daraa. Intanto, i combattenti ribelli salivano con mogli e figli su autobus diretti proprio a Idlib e dintorni.

Ristabilito il potere su buona parte della Siria, Assad ha infine avviato a dicembre 2019 la resa dei conti con gli oppositori, adesso concentrati nella sola città di Idlib. Negli attacchi sono state usate tutte le tattiche (proibite dal diritto internazionale) che hanno caratterizzato la catastrofe siriana: bombardamenti contro zone civili e ospedali, uso di bombe-barile1 e di bombe a grappolo2 e persino armi chimiche. Nonostante lo shock mondiale per il massacro con gas nervino in un sobborgo di Damasco nel 2013, che portò sull’orlo di un intervento armato internazionale e alla distruzione concordata dell’arsenale chimico del regime, l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche3 ha confermato tre bombardamenti con sarin e cloro4 da parte dell’aviazione siriana ancora nel 2017. Secondo le denunce di alcuni gruppi locali per i diritti umani, come l’SNHR (Syrian Network for Human Rights), gli attacchi con queste armi di distruzione di massa sarebbero stati circa 200.

L’offensiva su Idlib si è interrotta a marzo 2020, quando è stata concordata una tregua che ha congelato la situazione sul campo. I precedenti cessate il fuoco non hanno retto. Questo per ora sembra tenere, probabilmente a causa dell’emergenza sanitaria mondiale.

I ribelli concentrati a Idlib

A ritrovarsi a Idlib sono stati i principali gruppi jihadisti e altre milizie anti-Assad per un totale di circa 70 mila uomini armati. Il comando della città è stato preso dall’Organizzazione per la Liberazione del Levante (in arabo, Hay’at Tahrir al-Sham), una formazione in precedenza fedele ad Al-Qaeda e conosciuta come Fronte al-Nusra. Secondo varie organizzazioni umanitarie, il gruppo è stato autore a sua volta di vessazioni e di attacchi indiscriminati ai danni della popolazione locale.

Al fianco dei jihadisti, si muovono milizie moderate come il Fronte di Liberazione Nazionale, un raggruppamento che include i disertori dell’esercito siriano che all’inizio della guerra civile costituivano il principale antagonista del presidente Assad. La maggior parte dei gruppi ribelli di Idlib è oggi finanziata o sostenuta dalla Turchia. È stato registrato anche l’arrivo di un numero imprecisato di affiliati all’ISIS dopo la caduta dello Stato Islamico5.

Accordi e scontri tra potenze straniere: Russia e Turchia

Nell’offensiva di Idlib sono stati ancora una volta gli aerei russi ad aprire la strada all’esercito siriano. I bombardamenti non hanno risparmiato i campi allestiti al confine turco per accogliere l’ennesima ondata di profughi. L’intervento della Russia, richiesto della Siria nel 2015, è stato decisivo per ribaltare il conflitto a favore di Assad. Cinque anni dopo, tuttavia, l’interesse di Mosca - ossia rafforzare la propria influenza in un’area del mondo cruciale per l’energia e per le rotte commerciali - si è scontrato frontalmente con la Turchia.

Dopo anni trascorsi a condizionare la guerra da oltre-confine o con brevi incursioni militari, infatti, nell’ottobre 2019 l’esercito turco ha invaso il vicino e occupato un’area intorno alla città di Afrin (equivalente a circa il 7% del territorio siriano). La Turchia ha raggiunto così i suoi due obiettivi. Da un lato, ha evitato che il territorio conquistato durante la guerra dalla minoranza curda della Siria nord-orientale sfociasse in uno Stato indipendente, capace di mobilitare i milioni di curdi che da decenni rivendicano autonomia all’interno della Turchia. Dall’altro lato, è riuscita ad arginare un nuovo flusso di migranti e a creare piuttosto una zona cuscinetto in cui riversare circa 700 mila rifugiati siriani (degli oltre 3,5 milioni ospitati in Turchia).

Il rimpatrio forzato è stato criticato dall’Unione europea, che tuttavia ha contribuito allo stallo dei profughi siriani con l’accordo che prevede miliardi di euro alla Turchia in cambio di un blocco all’emigrazione verso l’Europa6.

Inoltre, l’accordo si è rivelato fragile al punto che, a febbraio 2020, la Turchia ha riaperto ai migranti le frontiere verso Bulgaria e Grecia, che ha risposto schierando l’esercito al confine. È stata la pandemia di COVID-19 a fermare ogni migrazione, mentre Russia e Turchia hanno concordato la creazione di zone demilitarizzate in Siria e una serie di tregue.

Accordi e scontri di questo genere tra potenze straniere (un bombardamento russo-siriano sui soldati turchi e la rappresaglia successiva hanno fatto decine di morti tra i militari) fanno rivivere la storia di un secolo fa, quando l’Impero russo e quello ottomano combattevano su fronti opposti la Prima guerra mondiale. C’è un terzo attore però nella guerra e nella pace siriana ed è l’Iran.

Il terzo attore internazionale: l’Iran

Se la Russia ha fornito i mezzi ad Assad, l’Iran gli ha portato la strategia e le milizie. La riconquista di Aleppo nel 2016 è stata parzialmente diretta dal comandante in capo delle forze paramilitari iraniane, quel generale Qassem Soleimani ucciso nel 2019 da un drone americano in Iraq7.

I combattenti sono stati i libanesi di Hezbollah, le formazioni di coscritti afgani e pakistani e altri gruppi musulmani sciiti di base in Iraq. L’Iran ha avuto la sua motivazione per intervenire in Siria: creare un corridoio terrestre da Teheran al mar Mediterraneo su cui fare passare armi, miliziani e soldi, in modo da consolidare il proprio potere in Medio Oriente. In particolare, nei confronti dell’Arabia Saudita e del mondo musulmano sunnita, e di Israele, che per la prima volta si trova sotto il tiro diretto delle forze iraniane stanziate nel sud della Siria.

I curdi siriani

Le milizie armate curde, chiamate Unità di Protezione popolare, hanno guidato con il sostegno degli Stati Uniti la riconquista di Raqqa, la capitale siriana del Califfato, delle aree circostanti e infine dell’ultima roccaforte, Baguz, nel febbraio 2019. Il ruolo dei curdi siriani nella sconfitta dell’ISIS e la simpatia suscitata nel mondo sembravano preludere alla trasformazione della loro regione autonoma nel nord-est della Siria in un vero e proprio stato al termine del conflitto, un’aspirazione che il popolo curdo nutre sin dalla fine della Prima guerra mondiale8.

Tuttavia, conclusa la lotta all’ISIS, messa in rotta anche in Iraq, e ucciso il suo capo Abu Bakr al-Baghdadi, nell’ottobre 2019, gli Stati Uniti hanno ritirato il migliaio di soldati operativi nel nord della Siria. La decisione ha dato via libera all’avanzata turca e ha costretto i curdi, abbandonati a se stessi, ad allearsi con l’esercito siriano per contrastarla. Il destino dei curdi in Siria, al pari di quello di migliaia di affiliati dello Stato Islamico rinchiusi nelle loro carceri, sembra ora incerto. La guerra in Siria ha causato oltre 400 mila morti, di cui quasi un terzo civili, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani. In un paese che contava 22 milioni di abitanti nel 2011, 5 sono fuggiti e altri 6, pur rimanendo nei confini nazionali, vivono altrove come profughi interni. Sotto pressione da parte dei paesi ospitanti, almeno 40 mila profughi siriani sono rientrati volontariamente, benché senza garanzie sul proprio futuro.

Di certo, a pagare il prezzo della violenza in Siria sono state tutte le generazioni, inclusa la prossima. Secondo l’UNICEF, la guerra finora ha ucciso o ferito 9 mila bambini e ne ha visti nascere quasi 5 milioni.Puoi consultare una carta della geografia del conflitto in Siria al link.

Note
1. Sono barili pieni di esplosivi, proiettili, chiodi e combustibile, lanciati da elicotteri, che producono effetti devastanti.
2. Un tipo di bomba il cui involucro si apre in volo rilasciando una quantità di piccole bombe che esplodono sull’area circostante, rischiando così di colpire indiscriminatamente la popolazione civile.
3. Organizzazione con sede a L’Aia, nata nel 1997 dopo l’entrata in vigore della Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche, un accordo multilaterale per la distruzione di questo di tipo di armi di distruzione di massa, a cui oggi aderiscono 193 stati.
4. Il sarin è un gas sintetizzato negli anni trenta come arma chimica. Al pari di altri gas nervini, una volta inalato o a contatto con la pelle, provoca rapidamente la morte. Il cloro è comunemente usato in vari settori industriali ma l’esposizione ad esso in forma gassosa e in concentrazioni elevate è tossica, se non letale, tanto da essere stato usato come arma già nella Prima guerra mondiale.
5. Nato in Iraq nel 2003, il gruppo si espande in Siria dopo lo scoppio della guerra civile e prende il nome di Stato Islamico dell'Iraq e della Siria (ISIS), sotto la guida di Abu Bakr al-Baghdadi. Quest’ultimo, nel giugno del 2014, dichiara l’istituzione del Califfato nei territori conquistati in Iraq e in Siria, con l’obiettivo di estendere la propria autorità su tutte le terre abitate da musulmani. Il gruppo cambia nuovamente nome, per diventare semplicemente Stato Islamico.
6. Nel 2016 l’Unione europea e la Turchia hanno firmato un accordo per la gestione dei flussi migratori che prevede aiuti economici per circa 3 miliardi di euro per la gestione dei rifugiati presenti nel paese.
7. Il generale Soleimani era a capo di un corpo speciale delle Guardie Iraniane della Rivoluzione incaricato di operazioni militari all’estero, in particolare in Iraq e in Siria. Sotto la sua guida, l’Iran ha creato e finanziato una serie di milizie armate in vari paesi vicini che ha utilizzato per la propria politica d’influenza in Medio Oriente.
8. Il trattato di Sèvres del 1920 prevedeva dalla dissoluzione dello sconfitto Impero ottomano la nascita del Kurdistan, ossia uno stato autonomo che riunisse tutta la popolazione di etnia curda. Il successivo trattato di Losanna del 1923 ribaltò tuttavia la decisione e rese 25 milioni di curdi una minoranza in quattro diversi stati: Turchia, Siria, Iraq e Iran.