Nel contesto degli argomenti che vengono trattati in questo libro, il concetto che più si è diffuso nel dibattito e che è di pertinenza degli apparati statali è quello della green economy, con cui si intende, a volte in modo confuso, un processo di trasformazione del sistema di produzione e consumo in chiave ecosostenibile.
L’idea è tanto semplice quanto potente. Da una parte, si ha la prospettiva di una prossima crisi legata all’esaurimento delle risorse energetiche, ma ancora di più all’evoluzione dei loro prezzi, e la necessità di una transizione a un sistema energetico basato su fonti rinnovabili e con alti standard di efficienza. Dall’altra, si ha, soprattutto nei paesi sviluppati, una stagnazione dell’attività economica che non sembra risolvibile con nessuno dei metodi “tradizionali”. Perché, quindi, non coniugare le due esigenze orientando il sistema verso quei settori che contribuiscono a migliorare la sostenibilità del sistema?
L’idea ha preso piede molto velocemente tra i circoli accademici, i gabinetti dei governi e le istituzioni internazionali. L’Onu ha abbracciato l’approccio e lanciato attraverso l’Unep (il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) una green economy initiative, il cui risultato principale finora è stato la pubblicazione di un dettagliato rapporto, completo di modelli simulati dell’economia globale, dedicato a promuovere l’idea che investire nell’economia verde sia una fonte di crescita economica e che attraverso essa si possa aumentare l’occupazione e ridurre la povertà nei paesi in via di sviluppo. L’Oecd, conciliabolo delle nazioni sviluppate, ha anch’essa avviato un programma di ricerca sull’economia verde e ha già pubblicato numerosi rapporti sul tema.L’Unione europea, nella sua strategia di crescita Europa 2020, esplicita tra i suoi obiettivi quello di favorire lo sviluppo di un’economia verde che faccia un uso efficiente delle risorse, riduca le emissioni di gas serra e introduca nuove tecnologie per la sostenibilità, specialmente nel campo delle fonti di energia rinnovabile.1 A questi progetti internazionali si devono poi sommare la moltitudine di iniziative e tavoli di dialogo a livello nazionale e la grande diffusione del concetto tra organizzazioni della società civile, centri di ricerca e associazioni.
La creazione di una green economy permetterebbe di avere forti ricadute positive in termini di occupazione. Con green jobs si intendono quei lavori - nei settori agricoli, manifatturieri e dei servizi - impiegati in attività che contribuiscono a preservare o migliorare la qualità ambientale e la sostenibilità del sistema economico.2
Una riconversione produttiva del sistema necessita, infatti, di ingegneri, chimici, elettricisti, macchinisti, operai e numerose altre professionalità che possono essere impiegate nella costruzione di edifici ad alta efficienza, nell’assemblaggio di pannelli solari, nella ricerca di nuovi materiali isolanti, nella guida dei mezzi di trasporto su rotaia, e nel resto dei settori e attività a cui si accennerà. La significativa riallocazione del lavoro avrà bisogno di un’attenta gestione da parte delle amministrazioni pubbliche nazionali e locali. Potrebbe, infatti, esistere una notevole discrepanza tra le professionalità già presenti nel mercato del lavoro e quelle necessarie a popolare i nuovi settori, e attente politiche di formazione devono essere, quindi, implementate per facilitare la diffusione delle competenze richieste. Ci saranno poi, inevitabilmente, settori che dovranno ridurre il livello occupazionale - quelli più inquinanti e ad alto consumo di risorse - e i governi dovranno assicurare un’adeguata protezione sociale a beneficio delle classi di lavoratori a rischio, e favorire la loro riconversione. In ogni caso, gran parte delle persone che potranno essere impiegate nei nuovi settori non dovranno essere riqualificate, ma semplicemente riallocate a esercitare le loro competenze su nuovi prodotti e servizi (idraulici, elettricisti, macchinisti, autisti, ingegneri e via dicendo).1. Commissione europea, Europe 2020: A strategy for smart, sustainable and inclusive growth, Communication from the Commission 2010.
2. UNEP, Green Jobs: Towards Decent Work in a Sustainable, Low-Carbon World, Ginevra 2009.
L’idea base della green economy è quindi quella di riorientare l’attività economica delle nazioni verso quei settori che permettono di aumentare la sostenibilità ambientale e sociale del sistema. Ma quali sono i settori in cui si dovrebbe investire? Sicuramente la maggior parte delle misure proposte ha a che fare con la produzione e il consumo di energia. L’intero nostro sistema economico è dipendente dall’utilizzo di risorse che permettono di produrre energia, per illuminare le case e riscaldarle, per alimentare la produzione manifatturiera, per mettere in moto i nostri mezzi di trasporto. La domanda di energia negli ultimi decenni è esplosa, trainata dall’aumento della popolazione e dall’espansione dell’attività economica, e le stime per il futuro indicano che la domanda di energia è destinata ad aumentare, specialmente nei paesi emergenti come Cina e India.3
Le tre principali risorse dalle quali otteniamo energia sono il carbone, il gas e il petrolio. Si tratta in tutti e tre i casi di risorse che si sono formate all’interno della crosta terrestre nel corso di milioni di anni, e che sono quindi da considerare come presenti in quantità finite. Alla loro scarsità va ad aggiungersi la questione della dinamica del loro prezzo, di cui si discuterà più dettagliatamente nel prossimo paragrafo. Appare, quindi, necessario organizzare una transizione verso un sistema che sia in grado di:a) ottimizzare l’efficienza nell’utilizzo delle risorse non rinnovabili; b) espandere la proporzione di energia ottenuta da fonti rinnovabili. I settori interessati da questi prossimi cambiamenti sono molti, anzi potenzialmente tutti i settori possono esserne coinvolti, ma ce ne sono alcuni in cui si stanno concentrando gli sforzi, considerata la loro rilevanza in termini di consumo di risorse.Il settore edilizio è senza dubbio uno dei principali. Non solo circa un terzo dell’utilizzo finale di energia ha luogo all’interno di abitazioni ed edifici,4 ma la loro costruzione comporta un grande dispendio di energia, acqua e altri materiali, e contribuisce in modo sostanziale all’accumulazione di rifiuti solidi. Le potenzialità di miglioramento nel settore sono enormi, considerate le molte tecnologie già conosciute che potrebbero essere utilizzate, come finestre isolanti, illuminazione a basso consumo, sistemi di riscaldamento e ventilazione efficienti, generatori domestici di energia da fonti rinnovabili. Da una parte è possibile procedere a un piano di ristrutturazione dello stock di edifici già esistenti che permetta di usare in modo più efficiente i sistemi di calore evitando una sua eccessiva dispersione. Dall’altra - e questo è particolarmente importante nei paesi in via di sviluppo - è possibile dotare i nuovi edifici di tutte le tecnologie necessarie a renderli più efficienti fin dalla loro costruzione. Il discorso vale anche per i dispositivi elettrici di uso comune nelle abitazioni. Una delle principali innovazioni che si stanno introducendo sono i sistemi di misurazione “intelligenti” di energia elettrica e gas, detti smart meters, che permettono un controllo costante del consumo di energia e forniscono ai clienti e al fornitore informazioni al riguardo.Un altro settore in cui è necessario intervenire è quello dei trasporti. Come nel caso dell’edilizia, ma in misura ancora maggiore, i sistemi di trasporto sono caratterizzati da una forte path-dependence. Le decisioni iniziali riguardo a che tipo di infrastrutture di trasporto costruire esercitano una grande influenza su come il sistema si svilupperà. Gli Stati Uniti, per esempio, hanno storicamente privilegiato lo sviluppo di un sistema capillare di trasporto su gomma, che ha avuto un effetto profondo anche sui criteri di progettazione dei territori urbani e sulla stessa cultura di mobilità della popolazione. Una riconversione a forme di trasporto che consumino e inquinino meno risulta più difficile lì che nei paesi europei, dove, complice anche una diversa conformazione del territorio, esistono già avanzati sistemi di trasporto su rotaia. Risulta, quindi, fondamentale progettare con cautela il sistema di mobilità. La domanda di trasporti, sia di passeggeri sia di merci, è aumentata esponenzialmente durante gli ultimi decenni e si prevede una sua ulteriore espansione nel futuro.5 I trasporti sono responsabili per circa il 19% del consumo globale di energia e di un quarto delle emissioni di CO2, e si stima che entrambi aumenteranno del 50% entro il 2030.6 Inoltre, i mezzi di trasporto - specialmente quelli su gomma - sono altamente dannosi per la salute degli esseri umani a causa dei loro gas di scarico e costituiscono una fonte di incidenti, soprattutto nei contesti urbani.
Ci sono diversi modi per risolvere queste problematiche all’interno di una visione verde del sistema economico. Innanzitutto si può incentivare una riduzione del numero di viaggi, attraverso la diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione o, per quanto riguarda le merci, tramite uno stimolo a produrre e consumare prodotti locali. È poi necessario incentivare le modalità di trasporto più efficienti in termini ambientali - come i mezzi di trasporto pubblico, le ferrovie e la bicicletta - e contemporaneamente stimolare la ricerca su veicoli a motore che consumino meno risorse. Ciò può essere fatto programmando piani di investimento infrastrutturale su sistemi di trasporto collettivo nelle città, sperimentando strumenti fiscali come la congestion charge sul traffico nei centri urbani, o facilitando meccanismi di condivisione dei mezzi come il car sharing e il bike sharing.Anche le attività di raccolta e trattamento dei rifiuti possono essere migliorate e rese più sostenibili ambientalmente, con ricadute positive non solo sulla qualità della vita cittadina, ma anche sulla situazione occupazionale. In questo caso la maggioranza delle misure proposte riguarda i meccanismi di recupero e riciclo dei rifiuti, che devono essere meglio progettati e rafforzati.Così come è cruciale rendere più sostenibili i settori agricoli, che sono attualmente grandi consumatori di risorse (soprattutto energia e acqua), oltre che preoccupante fonte di inquinamento dei corsi fluviali e di erosione dei terreni. Un programma di green economy prevede, quindi, la diffusione di tecnologie più efficienti, l’introduzione di pratiche agricole più rispettose per l’ambiente (per esempio un impiego più limitato di pesticidi e fertilizzanti) e l’utilizzo di una gamma più variegata di sementi.Se si aggiungono, poi, le attività di preservazione e ripristino degli ecosistemi naturali, le pratiche di pesca sostenibile, la gestione delle risorse acquifere, l’introduzione di procedure industriali sostenibili e i piani di progettazione dei centri urbani, appare chiaro come il concetto di green economy sia ampio, variegato, e potenzialmente rivoluzionario. Si tratta di una completa riconversione del nostro intero sistema produttivo e di consumo, volta ad assicurare un benessere quanto più diffuso, alti livelli di occupazione e un rapporto più sereno con l’ambiente in cui viviamo.3. IEA, World Energy Outlook 2011. Executive Summary, Parigi 2011.
4. UNEP, Green Economy Report, Ginevra 2011.
5. OECD, Trends in the transport sector 2011, International Transport Forum 2011.
6. IEA, Transport, energy and CO2: Moving towards sustainability, Parigi 2009.
Un discorso a parte deve essere svolto per le fonti di energia rinnovabile, che costituiscono un settore fortemente innovativo e la cui diffusione è trasversale a tutti i settori “tradizionali” menzionati. Non si parla, cioè, di come riorientare i settori produttivi in modo che utilizzino in maniera più intelligente l’energia, ma del settore energetico stesso e delle sue radici nel sistema ambientale in cui viviamo. L’energia sta alla base del nostro sistema economico e sociale e costituisce il “nocciolo” dei beni di cui godiamo. La domanda di energia è molto alta e si stima che aumenterà di circa un terzo entro il 2035,7 con una crescita più pronunciata della domanda proveniente dai paesi in via di sviluppo come Cina (che nel 2035 consumerà il 70% in più degli Stati Uniti), India, Brasile e Medio Oriente.A plasmare il futuro assetto del sistema di produzione e consumo di energia contribuiranno in modo determinante le dinamiche di prezzo delle varie fonti di energia. Il costo del re dei combustibili fossili del XX secolo, il petrolio, è stato ed è tuttora un fattore in grado di determinare lo stato di floridità di un’economia, capace di alimentare l’insaziabile motore dello sviluppo industriale così come di causare gravi shock macroeconomici a livello internazionale. Nel 1973 un deciso boicottaggio di fornitura da parte dei paesi dell’OPEC, l’organizzazione che raggruppa i paesi esportatori di petrolio, causò un rapido aumento del prezzo dei combustibili, scatenando nei paesi industrializzati corse agli approvvigionamenti alimentari e l’introduzione di misure di “austerità” da parte dei governi. Anche nel corso del 2008 si è avuta un’impennata nel prezzo del petrolio, giunto al suo picco attorno ai 140 dollari al barile. Pure in questo caso, l’aumento dei prezzi ha scatenato timori, instabilità ed effetti sistemici, contribuendo a rafforzare la simultanea crisi sociale legata al prezzo dei beni alimentari. Ma, a parte questi picchi di volatilità - che potrebbero diventare più frequenti -, si registra un trend di aumento dei prezzi di combustibili fossili che con ogni probabilità continuerà anche in futuro, trainato dall’aumento della domanda da parte dei paesi in via di sviluppo e dalla loro crescente scarsità.
Il quadro energetico mondiale è complicato dalle sue implicazioni geopolitiche. I combustibili fossili non sono distribuiti in maniera uniforme nel pianeta, concentrandosi in aree geografiche ristrette, il cui possesso è attribuito dalla storia ad alcune nazioni (come quelle mediorientali) piuttosto che ad altre. Considerata allo stesso tempo l’estrema importanza che essi rivestono per il funzionamento delle economie moderne, non stupisce che il tema dell’accesso alle fonti di energia sia quindi determinante per la condotta di politica estera di tutte le nazioni. La maggior parte dei conflitti armati degli ultimi anni ha avuto la questione del petrolio come sottofondo, non ultime l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti nel 2003 e la guerra in Libia del 2011. Altri grandi movimenti strategici sono attualmente legati alla maggiore accessibilità della regione artica (favorita, tra l’altro, dal graduale scioglimento dei ghiacci), i cui giacimenti paiono essere molto consistenti. Durante il 2007, nel fervore di questa “corsa all’Artide”, una missione russa è giunta a depositare sul fondale oceanico una bandiera di titanio a più di 4000 metri di profondità, per affermarvi sovranità territoriale.
È evidente che un’economia sostenibile debba considerare la questione energetica - la sua produzione, la gestione della sua distribuzione, le modalità di consumo - come una sfida prioritaria per riuscire a rendere il sistema più stabile. Una prima strategia d’azione è sicuramente quella di migliorare l’efficienza energetica, cioè l’ammontare di beni e servizi prodotti per unità di energia. In questo campo sono stati già ottenuti notevoli risultati nel corso dei decenni, favoriti anche dalla preoccupazione causata dagli shock petroliferi. La nostra società è andata man mano “dematerializzandosi”, orientando la propria struttura economica verso beni e servizi a bassa intensità di risorse energetiche. Ma se vi è sicuramente stato un decoupling relativo - ovvero la quantità di energia per produrre un’unità di prodotto è diminuita - non si è invece avuto un decoupling assoluto, dato che la crescita demografica e l’aumento della domanda globale hanno più che compensato gli effetti del miglioramento dell’efficienza e quindi trainato un’espansione del consumo totale di risorse. In questo contesto, l’unica soluzione di lungo periodo che pare possibile sembra essere offerta, quindi, dalle fonti di energia rinnovabile, ovvero quelle risorse soggette a un processo di rigenerazione nel tempo come il sole, il vento, le onde o il calore geotermico. Di questo si stanno accorgendo sempre più i governi, che gradualmente hanno già introdotto numerose regolazioni, strumenti fiscali e meccanismi di finanziamento volti a incentivare l’utilizzo di energie rinnovabili.La proporzione di energia proveniente da fonti di energia rinnovabile sta aumentando, gli investimenti sono passati da 52 miliardi di dollari nel 2004 a 243 miliardi nel 2010, dopo una breve stasi nel 2009 dovuta alla crisi economica.8 Gran parte di questi proviene da paesi in via di sviluppo, con in testa la Cina, che dal 2009 è diventata il paese che più investe in rinnovabili.9 Una brillante espansione ha riguardato i piccoli impianti di generazione, come i pannelli fotovoltaici installati sul tetto di case o condomini, avvenuta in particolar modo in paesi (come Germania, Italia e Regno Unito) che si sono dotati di strumenti fiscali a incentivo di tali impianti domestici. Oltre che per i sussidi statali, questa diffusione ha avuto luogo anche a seguito del declino nei costi d’installazione e mantenimento dei pannelli solari. I prezzi delle energie rinnovabili sono scesi notevolmente e diventano sempre più competitivi rispetto a quelli dei combustibili fossili (fortemente sussidiati quasi ovunque). Il prezzo medio di energia ottenuta attraverso pannelli fotovoltaici, pari a 22 dollari per watt nel 1980, è oggi meno di 1,5 dollari;10 può essere reso ulteriormente accessibile attraverso programmi di ricerca e sviluppo finanziati o incentivati dallo stato, oppure tramite strumenti fiscali che diminuiscono il prezzo pagato dal consumatore, come nel caso delle feed-in-tariffs, che analizzeremo più avanti.7. IEA, World Energy Outlook 2011. Executive Summar, Parigi 2011.
8. World Economic Forum, Green investing 2011, Ginevra 2011.
9. UNEP, Green Economy Report, Ginevra 2011.
10. IPCC, Special Report on Renewable Energy Sources and Climate Change Mitigation. Working Group III, Ginevra 2011.
Esiste un grave problema legato al fatto che i prezzi di mercato non riflettono i costi delle esternalità negative sull’ambiente. Con esternalità si intendono i costi e benefici di un’attività economica che non vengono presi in considerazione da chi produce, ma che hanno effetti (positivi o negativi) su altri agenti. L’inquinamento è un classico esempio di esternalità negativa, il cui prezzo - ambientale e sociale - è solitamente pagato dalla collettività e non da chi lo produce. Per questo motivo, il costo di una merce biologica - una bio-merce - difficilmente riflette il suo valore. Il prezzo della benzina, per esempio, non tiene conto minimamente di tutti i danni causati dal petrolio. Secondo i dati11 dell’Energy Information Administration (EIA) relativi al novembre 2011 la benzina negli Stati Uniti costava in media poco meno di un dollaro al litro. Tale prezzo comprende il costo dell’estrazione, della raffinazione e della distribuzione del petrolio, ma non i cambiamenti climatici che ne derivano, la perdita irreversibile di risorse non rinnovabili, i larghi sussidi governativi alle industrie del petrolio, le spese militari investite per assicurarsi l’accesso ai giacimenti o i costi sanitari legati all’inquinamento e alla diffusione di malattie tumorali e respiratorie. Se si tenesse conto di tali fattori, difficilmente si potrebbe avere un prezzo dei carburanti così basso. Il problema risiede, appunto, nel fatto che nel sistema di mercato senza regolazione non esiste alcun incentivo per le imprese a “internalizzare” questi costi, che vengono così scaricati sulla società. Contemporaneamente, non si crea nemmeno alcun incentivo a investire nella ricerca di nuove tecnologie verdi.Una delle principali politiche messe in atto per risolvere questo problema prevede la modificazione forzosa del prezzo del bene inquinante, solitamente attraverso l’applicazione di un’imposta. In anni recenti si è discusso molto dell’opportunità di imporre una tassa, detta Carbon Tax, che colpisse l’utilizzo di carburanti basandosi sul contenuto di anidride carbonica delle loro emissioni. Nonostante certi paesi l’abbiano introdotta (alcuni, come la Svezia, fin dai primi anni novanta), non si è rivelato possibile ottenere una sua diffusione su scala più ampia, come invece sarebbe stato auspicabile per renderla efficace, e il dibattito al riguardo si è leggermente acquietato. Ha invece preso slancio l’idea di una riforma fiscale più completa, che non si limiti solo a introdurre un’imposta sui carburanti, ma piuttosto promuova una rimodulazione dell’intero sistema fiscale in chiave ecosostenibile, riducendo la tassazione su reddito e lavoro, colpendo più severamente il consumo e specialmente quello di prodotti inquinanti e incentivando l’adozione di pratiche virtuose.12
Non ci si vuole, quindi, più limitare a imporre una tassa addizionale, ma usare in modo coordinato tutta la gamma possibile di strumenti fiscali per riuscire a orientare i comportamenti di famiglie e imprese nella direzione desiderata, senza però caricarli di un peso eccessivo. Non esistono, infatti, solo le tasse, ma anche i sussidi, che il governo può concedere ad attività ritenute meritevoli. Nel campo del consumo energetico hanno avuto una discreta diffusione le feed-in tariffs, che consistono in pagamenti concessi a coloro che - famiglie, imprese, comunità - sono in grado di produrre autonomamente energia tramite fonti rinnovabili e, possibilmente, di trasferire l’energia inutilizzata alla rete elettrica nazionale. […]Una seconda strategia, alternativa agli interventi sui prezzi, comporta una regolazione delle quantità di emissioni ed è stata adottata nello schema di permessi di emissione commerciabili (emission trading scheme) dell’Unione europea, introdotto a partire dal 2005. Vengono stabilite le quantità di inquinamento “desiderato” per ogni paese membro e, di conseguenza, distribuiti dei permessi di emissione, a loro volta allocati da ogni paese agli operatori che partecipano allo schema (soprattutto grandi compagnie energetiche e manifatturiere). Questi permessi possono essere alternativamente usati, a fronte delle emissioni derivanti dall’attività, o venduti in un apposito mercato.
In questo caso il prezzo dei permessi d’inquinamento è quindi lasciato libero di fluttuare, anche se alcuni paesi come il Regno Unito stanno introducendo dei “pavimenti” sotto i quali si impedisce al prezzo di scendere.13 […]11. www.eia.doe.gov.
12. Si veda, per esempio, Green Fiscal Commission, The case for Green Fiscal Reform, London 2009..
13. Treasury, Budget Report 2011, HM Treasury, London 2011.
All’indomani della crisi del 2007-2008 numerosi governi hanno varato dei piani di stimolo per riavviare le loro economie ancora traumatizzate dallo shock finanziario, che in misura più o meno grande includevano una componente “verde” volta a dare impulso ai settori legati alla sostenibilità ambientale. A livello globale si calcola che circa il 17% della spinta totale è da considerarsi verde, ma all’interno di questo dato si nascondono forti differenze d’approccio a livello internazionale. Se, per esempio, l’Italia si è limitata a indirizzare l’1% dello stimolo verso settori puliti, gli Stati Uniti hanno raggiunto il 12%, la Cina il 33% e la Corea del Sud addirittura il 95%. All’interno dell’American Recovery and Reinvestment Act, il pacchetto di stimolo dell’economia americana lanciato nel febbraio 2009, circa 100 miliardi di dollari sono stati destinati a programmi come l’ammodernamento di edifici, l’espansione del sistema di trasporto su ferrovia, la costruzione di una rete di trasmissione elettrica “intelligente”, l’espansione delle fonti rinnovabili. È stato stimato che tali misure creerebbero circa settecentomila posti di lavoro entro il 2012.14Un altro caso da menzionare è quello della Corea del Sud, spesso indicata come uno degli esempi di maggiore impegno e successo nel creare una green economy.15 Nel gennaio del 2009, in modo simile a molte altre nazioni nello stesso periodo, la Corea del Sud ha annunciato il suo piano di incentivi all’economia volto a superare la crisi e ad assicurare un ritorno alla crescita. Ciò che rendeva unico il piano era la sua marcata impronta verde. Circa 38 miliardi di dollari sono stati indirizzati verso progetti low-carbon da mettere in atto nel periodo 2009-2012, legati a fonti di energia rinnovabile, efficienza energetica degli edifici, sviluppo della rete ferroviaria, gestione dei rifiuti e ripristino degli ecosistemi. Nonostante alcuni esempi virtuosi, gli sforzi legati a tali pacchetti di sviluppo sono sembrati timidi e non sufficienti a far partire davvero una crescita verde, anche a causa della successiva ondata di politiche di taglio alla spesa e di austerità. Ciò che, tuttavia, fa ben sperare i sostenitori della green economy è che i suoi concetti sono ormai inclusi in numerosissime strategie di crescita nazionali e internazionali, ed espressioni come “sostenibilità” ed “energia pulita” sono parole d’ordine riconosciute e accettate a livello globale.A seguito della recente riunione del G20 a Cannes, nel novembre 2011, è stata rilasciata una dichiarazione comune nella quale, oltre ad alcune indicazioni legate alla lotta al cambiamento climatico e al mercato dell’energia, si legge:
Noi promuoveremo strategie di sviluppo a basse emissioni in modo da ottimizzare il potenziale di crescita verde e assicurare uno sviluppo sostenibile nei nostri paesi e altrove. [...] Supportiamo lo sviluppo e l’impiego di energia pulita e tecnologie di efficienza energetica.16
Barack Obama si era già spinto oltre, approfittando dello sconvolgimento successivo allo scoppio della piattaforma petrolifera della BP al largo del Golfo del Messico nell’aprile del 2010 per lanciare con decisione una strategia di riconversione energetica nazionale.
La Cina si è recentemente proposta come un attore importante sul mercato internazionale delle tecnologie verdi con la formulazione di obiettivi ambiziosi e l’applicazione delle politiche di spesa pubblica e fiscali necessarie a raggiungerle. Anche la Corea del Sud ha approvato il suo piano quinquennale di sviluppo, in cui circa 80 miliardi di dollari (pari al 2% del PIL) sono stati destinati a realizzare la strategia di crescita sostenibile del paese, con un ritorno previsto in termini di occupazione di circa trecentotrentamila posti di lavoro.17L’Unione europea, e con lei i suoi stati membri, ha adottato una strategia di medio termine, chiamata Europa 2020, che dà seguito alla precedente strategia di Lisbona riprendendone i punti di forza (gli obiettivi di crescita e occupazione) e correggendone alcune debolezze.18 I tre aggettivi con cui l’UE descrive la crescita economica che vuole perseguire nel prossimo decennio sono intelligente, sostenibile e solidale. Per raggiungere una crescita intelligente l’UE punta a una migliore istruzione, a un maggior investimento nella ricerca e nell’innovazione, e alla promozione di una società digitale che migliori la comunicazione e l’informazione.Tale crescita, accompagnata da una politica industriale adeguata all’era della globalizzazione, deve anche portare a un’economia più efficiente dal punto di vista dell’uso delle risorse. Infatti, tra le iniziative prioritarie per una crescita sostenibile al 2020 troviamo: ridurre le emissioni del 20% rispetto ai livelli del 1990, aumentare l’efficienza energetica del 20%, promuovere la ricerca su nuove tecnologie e metodi di produzione verdi, aiutare i consumatori a fare scelte informate. Alla strategia per la crescita dell’economia e dell’occupazione nel rispetto dell’ambiente si aggiunge la strategia Energia 2020, le cui priorità sono ridurre il consumo di energia, rendere effettivo il mercato interno europeo, sviluppare un’infrastruttura adeguata, migliorare le tecnologie verdi, proteggere i consumatori e rafforzare la dimensione internazionale della politica energetica. […]14.OECD, Green Growth Strategy Interim Report: Implementing our commitment for a sustainable future, Paris 2010.
15.UNEP, Overview of the Republic of Korea national strategy for green growth, Ginevra 2010.
16.G20, Cannes Summit Final Declaration, Cannes 2011.
17.UNEP, Overview of the Republic of Korea national strategy for green growth, Ginevra 2010.
18.Commissione europea, Europe 2020: A strategy for smart, sustainable and inclusive growth, Communication from the Commission 2010.