Al termine della Seconda Guerra Mondiale, in Cina si scatenò una guerra civile tra nazionalisti e comunisti, vinta da questi ultimi. L’ascesa al potere di Mao Zedong, il leader del partito comunista, diede avvio a una profonda trasformazione del Paese, portò alla fondazione della Repubblica popolare cinese e modificò gli equilibri geopolitici internazionali. Le conseguenze della rivoluzione, nonostante le riforme promosse dalle autorità cinesi negli ultimi 40 anni, sono evidenti ancora oggi.Scopriamo come e perché ebbe luogo l’ascesa del comunismo in Cina.
All’inizio del XX secolo la Cina era ancora un impero, retto dalla dinastia Qing, ed era un territorio prevalentemente agricolo, con poche industrie e un sistema economico dominato dai grandi proprietari terrieri. La maggior parte della popolazione lavorava le terre dei proprietari e viveva in condizioni di povertà. La Cina, inoltre, era soggetta a forti ingerenze dell’Occidente, iniziate nell’Ottocento con i cosiddetti “trattati ineguali”, al punto che molti Paesi, inclusa l’Italia, si erano assicurati il possesso di basi (le “concessioni”) in territorio cinese.
Nel 1912 la monarchia fu rovesciata da una rivoluzione guidata da Sun Yat-sen, fondatore e leader del Kuomintang, il partito nazionalista. Sun instaurò la repubblica, con capitale a Nanchino, ma il suo governo non riusciva a controllare efficacemente il territorio, che in molte zone del Paese era in mano a leader locali noti come “signori della guerra”, né era in grado di riformare il sistema economico.
Sun Yat–sen
Dopo la rivoluzione russa del 1917, in Cina iniziò a penetrare l’ideologia marxista e nel 1921 a Shangai fu fondato il Partito comunista, che in origine collaborava con il Kuomintang contro i signori della guerra.
Nel 1925, alla morte di Sun Yat-sen, il controllo del Kuomintang fu assunto da Chang Kai-shek, che sconfisse i signori della guerra e, dopo un’iniziale collaborazione con i comunisti, lanciò un’offensiva contro di loro.
Il Kuomintang festeggia nel 1928 la sconfitta dei signori della guerra
Il partito comunista, che era in forte crescita numerica, all’inizio degli anni ’30 riuscì a prendere il controllo di alcune aree del sud del Paese, in particolare nella regione dello Jiangxi. Il partito aveva rielaborato il marxismo “classico”, secondo il quale la classe rivoluzionaria per eccellenza era il proletariato di fabbrica, e puntava soprattutto sulla popolazione rurale. Non a caso, uno dei capisaldi della sua politica era la distribuzione delle terre ai contadini.
Gli attacchi dell’esercito di Chang, dopo alcuni insuccessi, divennero più efficaci e nell’ottobre del 1934 i comunisti furono sul punto di essere accerchiati e annientati. Per evitarlo, decisero di lasciare le loro basi e spostarsi a piedi nella Cina del nord. Fu la lunga marcia, una grande ritirata di circa 70.000 uomini (ma le cifre esatte non sono note), che marciarono per circa 9.000 km, inseguiti dall’esercito. Molti morirono durante il cammino, ma circa 7.000 superstiti giunsero nella provincia dello Shanxi nell’ottobre del 1935.
La lunga marcia
La lunga marcia entrò subito nella mitologia del partito comunista, anche perché comportò la definitiva affermazione di Mao Zedong come leader. Inoltre i comunisti, dopo essere giunti nel nord, iniziarono a combattere contro i giapponesi.
Nel 1931 il Giappone aveva invaso la Manciuria, una regione della Cina settentrionale. Il governo di Chang non si era impegnato efficacemente contro di loro, dando priorità alla guerra civile contro i comunisti, ma nel 1936 fu costretto da alcuni dirigenti del Kuomintang a cercare un’alleanza con Mao contro gli invasori. L’intesa si rivelò particolarmente importante, perché nel 1937 il Giappone estese la sua invasione a sud della Manciuria, occupando una vasta porzione di territorio cinese, compresa la capitale Nanchino, e compiendo atrocità contro la popolazione. Nel 1941, quando il Giappone attaccò gli Stati Uniti, il conflitto sino-giapponese “confluì” nella Seconda Guerra Mondiale.
Occupazione giapponese
Il governo di Chang e i comunisti, pur essendo alleati nella guerra contro i giapponesi, seguivano strategie diverse e non costituirono una forza armata unica. Il governo condusse una guerra “regolare”, con battaglie in campo aperto, mentre i comunisti realizzarono soprattutto azioni di guerriglia, che si rivelarono molto efficaci. Nel corso della guerra Mao e i suoi compagni guadagnarono ampi consensi tra la popolazione rurale, perché distribuivano le terre ai contadini e apparivano molto decisi nella lotta contro gli invasori.
Nel 1945 i giapponesi furono sconfitti. Il governo della Cina era ancora nelle mani di Chang, ma i comunisti controllavano ampie porzioni del territorio nel nord e si erano significativamente rafforzati. I tentativi di mediazione tra le due fazioni fallirono e nel marzo 1946 la guerra civile riprese. I comunisti erano attestati in Manciuria, dove avevano collaborato con l’esercito dell’URSS (che aveva dichiarato guerra al Giappone nell’agosto del 1945) e si erano impadroniti delle armi lasciate dal nemico. La loro armata, battezzata Esercito popolare di liberazione, riuscì a prendere il controllo di tutta la Manciuria e nel 1947 portò la guerra nel cuore della Cina. Nei due anni successivi i comunisti lanciarono una serie di offensive, sconfiggendo definitamente Chang Kai-shek, e il primo ottobre 1949 Mao, entrato a Pechino, poté proclamare la fondazione della Repubblica popolare cinese.
L’unico territorio che i comunisti non riuscirono a conquistare fu l’isola di Taiwan, nella quale si ritirò Chang, che continuò a definire Repubblica di Cina l'isola che controllava. La divisione tra le “due Cine”– la Repubblica popolare cinese dei comunisti e la Repubblica di Cina che controlla Taiwan – perdura ancora oggi.
Ma come si spiega la vittoria dei comunisti nella guerra civile? La questione è molto dibattuta, perché sulla carta l’esercito di Chang era più forte. Tuttavia l’Esercito popolare di liberazione era più coeso e meno inficiato dalla corruzione. Inoltre, la politica agraria dei comunisti garantì loro un ampio consenso popolare, mentre le condizioni economiche dei territori controllati dal governo erano precarie, soprattutto a causa dell’inflazione, e alienarono al Kuomintang il sostegno di vaste fasce della popolazione.
Dopo la conquista di Pechino i comunisti instaurarono un regime a economia socialista e a partito unico che, dopo alcuni anni di vicinanza all’Unione Sovietica, si allontanò da Mosca e trovò un modus vivendi con gli Stati Uniti. Mao conservò il potere fino alla morte, avvenuta nel 1976 e in seguito, dopo un periodo di lotte interne, la leadership passò a un veterano della lunga marcia, Deng Xiaoping.
Negli anni '80 Deng avviò una politica di riforme economiche e aprì il Paese all’economia di mercato, ma non promosse riforme altrettanto significative in ambito politico: non liberalizzò il sistema e represse duramente il dissenso. Fece scalpore, in particolare, l’uso dei carri armati contro una dimostrazione studentesca in piazza Tienanmen, a Pechino, nel 1989.
Dopo Deng, che restò al potere fino al 1993, l’impostazione non è cambiata: l’economia di mercato si è sviluppata e sul piano politico è stato mantenuto un sistema illiberale. In Cina il sistema comunista non è crollato, come nell’Europa orientale e in Unione sovietica, ma il regime è stato ristrutturato “dall’interno”, di fatto cessando di essere un’economia socialista.