Costruire una seria educazione al genere è una delle maggiori scommesse del nostro tempo. Ancora di più lo è volendo fare perno sulla filosofia, che certo è una disciplina che se da una parte ha goduto di un’indubbia centralità nella nostra tradizione culturale, dall’altra ha giocato un ruolo cruciale nella costruzione del sistema di valori e significati su cui si fonda la subordinazione femminile. Come dice Adriana Cavarero, «la tradizione occidentale assume la differenza sessuale come un’opposizione di maschile e femminile, i cui i due termini non sono posti sullo stesso piano, uno di fronte all’altro, bensì strutturati secondo un ordine gerarchico di subordinazione e esclusione»1. Eppure l’urgenza sociale prodotta dagli atti di violenza nei confronti delle donne e fondati su una distorta percezione del genere, oltre al gap perdurante tra uomini e donne in molti ambiti del vivere sociale, suscitano interrogativi di cui le istituzioni formative non possono non cercare di rendere ragione, portando alla luce pregiudizi e stereotipi, facendo emergere gli schemi antropologici e mentali con cui si sono costruiti i rapporti tra i sessi nel mondo occidentale e sviluppando una prospettiva critica anche su questo terreno.
Solo partendo dalle basi epistemologiche di una disciplina è possibile elaborare una seria riflessione didattica senza cadere nel disordine metodologico. E come per tutte le discipline, anche per la filosofia il nesso tra l’epistemologia della materia e la sua didattica è molto importante. Fin dalle premesse, tuttavia, la filosofia si presenta come una disciplina ad epistemologia plurima, dal momento che essa varia a seconda delle impostazioni di fondo che vengono adottate. Sintetizzando in modo drastico, potremmo affermare che nella storia della cultura italiana si sono confrontati sostanzialmente due paradigmi epistemologici della disciplina: accanto ad un modello storico-storicistico, che concepisce la filosofia come storia della filosofia, si è via via sempre più chiaramente fatto spazio ad un approccio teoretico, che concentra la propria attenzione su temi da trattare in modo trans-autoriale, sollecitando più direttamente le competenze critiche e argomentative degli studenti.Nella prassi didattica degli ultimi decenni, tuttavia, possiamo dire che tale dualismo è di fatto “superato” da una generale tendenza ad utilizzare contestualmente i due differenti approcci didattici, esaltando le caratteristiche positive di ciascuno. Le stesse «Linee generali e competenze» relative alla filosofia presenti nelle Indicazioni nazionali del 2010 sottolineano la necessità di non contrapporre l’impostazione storica a quella problematica o a quella dialogico-argomentativa, anzi vi si richiama proprio l’importanza di un insegnamento che coniughi «lo studio dei diversi autori e la lettura diretta dei loro testi» con la capacità dello studente di orientarsi all’interno dei problemi fondamentali della filosofia. La dimensione problematica e la dimensione storica del sapere filosofico, quindi, piuttosto che tra loro disgiunte, devono essere integrate, così come le relative metodologie d’insegnamento: lo studio degli autori e delle loro opere deve essere condotto alla luce di alcuni problemi filosofici fondamentali, tra i quali l’ontologia, l’etica, l’epistemologia, la religione, l’estetica e la politica.
Ora, da qualunque punto di vista si imposti la didattica, la questione della differenza di genere non può risultare marginale. Sul piano storico è, infatti, facilmente dimostrabile che tutti i grandi pensatori del passato hanno variamente trattato la problematica connessa a ciò che oggi intendiamo con la categoria di “genere”. Non c’è filosofo o grande intellettuale che non si sia espresso in maniera più o meno estesa su temi quali le caratteristiche naturali e i ruoli dei due sessi, la riproduzione e la sessualità, il matrimonio e la famiglia, l’educazione e la libertà di donne e uomini: dal punto di vista della città ideale, come fa Platone, o dal punto di vista della biologia, come fa Aristotele; dal punto di vista della filosofia della storia, come in S. Agostino o da quello del potere politico, come in Jean Bodin; dal punto di vista dell’educazione come fa Rousseau o dal punto di vista dell’antropologia, come in Kant.Non è possibile peraltro escludere la differenza di genere neppure dall’impianto critico- problematico. Non soltanto perché i rapporti tra i generi rientrano a pieno diritto nella trattazione del tema antropologico, sociale o politico, com’è evidente, ma anche perché da sempre la filosofia occidentale si interroga sulla differenza femminile e ad essa attribuisce valori e significati peculiari, indagandoli dal punto di vista naturale o sociale. Quanto importanti sono state, ad esempio, le categorie di forma e materia, mente e corpo, ragione e sensibilità, soggetto/oggetto nel determinare le strutture fondanti di dicotomie originarie nel rapporto tra i sessi in Occidente? Eppure non c’è manuale di filosofia che ne restituisca la centralità teorica e il ruolo storico-culturale. Non si tratta, quindi, di ridefinire il canone degli autori della disciplina, né di aggiungere qualche pensatrice alla già lunga teoria di autori che i programmi propongono. Si tratta, invece, di cominciare a praticare qualche cambiamento a partire dalla quotidianità del lavoro scolastico. Un cambiamento che può partire dal piano di lavoro disciplinare tradizionalmente inteso, come anche dal decidere di travalicarlo periodicamente, in modo da aprirsi a tutta una serie di spunti provenienti da altre discipline, come cercheremo di mostrare nelle proposte didattiche. In questo modo, potranno diventare evidenti alcuni degli stereotipi e delle gabbie simboliche presenti nella mentalità collettiva in relazione alla figura femminile e al suo ruolo nella storia della cultura e nella società.Quando, però, si riconosca che la filosofia ha avuto un ruolo determinante nel costruire e “fissare” le categorie e le analisi con cui si è giustificata la subordinazione femminile, ciò che fin qui abbiamo detto non potrà apparire che come un punto di partenza. Infatti, i percorsi disciplinari che sono previsti dalle norme, e in generale dalla maggior parte degli strumenti didattici, riflettono di fatto la minorità femminile costruita dalle società di tipo patriarcale.
Il linguaggio stesso della tradizione filosofica costituisce un ostacolo, da questo punto di vista, basti pensare che una serie di concetti fondamentali mutano radicalmente di segno se posti al femminile, si pensi soltanto alla differenza che esiste tra i termini “soggetto” e “soggetta”.
Si tratta allora di progettare anche una pedagogia “diversa”, che tenga in considerazione i vari processi di formazione dell’identità di genere. Un ruolo importante in questo percorso può essere rivestito dalla docente e dal docente di filosofia nel loro concreto insegnamento: a partire dalla consapevolezza della propria appartenenza di genere, la docente/il docente potrebbe assumere la funzione di mediatrice/mediatore nel processo psicologico e culturale che deve portare ciascuna/o ragazza/o ad assumere la propria identità sessuale come una parzialità positiva. Dato che la società è composta di donne e di uomini, una riflessione che parta dal genere dovrebbe interessare gli uomini quanto le donne. Infatti, la specificità maschile risulta spesso identificata con l’umano in senso universale e rimane poco o per nulla indagata: se delle donne è normale che se ne parli “in quanto donne”, degli uomini in quanto uomini non si parla mai, o quasi.
Per esemplificare concretamente l’approccio descritto e seguendo la scansione cronologica dei piani di lavoro nel triennio, proponiamo in allegato l’analisi di testi tratti da tre classici della filosofia e del canone scolastico della disciplina, Aristotele, Hobbes, Hegel.
Ogni documento, corredato di note esplicative, è preceduto da un’introduzione che ne spiega l’importanza rispetto alla prospettiva di genere ed è accompagnato da un’analisi a commento, esercizi e il rinvio ad alcuni spunti pluridisciplinari.
Aristotele, Il femminile come minorità >>