Gesù storico, le fonti extrabibliche 2

Le fonti extrabibliche fanno riferimento a tutti i documenti e testimonianze scritte, redatte da storici dei primi secoli non cristiani, che fanno riferimento al  cristianesimo e alla persona di Gesù. Chiariamo però subito un concetto: Non è che lo scopo di questi storici sia quello di parlare direttamente di Gesù di Nazareth e del Cristianesimo ma ne parlano in via  trasversale, che cosa vuol dire? Facciamo degli esempi: Publio Cornelio Tacito, storico romano del I sec. d.C., racconta in un suo libro "Annales", i fatti storici  accaduti e i protagonisti legati nella città di Roma al Tempo di Nerone e nel contesto del suo ampio discorso parla dei cristiani, specialmente quando parla del famoso "Incendio di Roma". Giuseppe Flavio, storico ebreo del primo secolo, in un famoso libro "Antichità Giudaiche", racconta la storia  degli ebrei ai tempi dell'occupazione romana e in  quel contesto ci parla anche di Gesù di Nazareth e anche di altri personaggi ai quali fa riferimento ai vangeli e specie quello di Matteo e Luca. 

Le fonti extrabibliche sono importantissime per due  motivi: 1. Sono fonti "Non di parte cristiana" ma non è esatto dire "neutrali e super partes" in quando alcuni storici, tanto per fare qualche esempio Tacito e Plinio, sono  piuttosto polemici nei confronti dei cristiani e molto  scettici sulla Resurrezione di Gesù pur non mettendo  in dubbio la Sua esistenza storica. Ma dal punto di  vista storico e di contro coloro che affermano che  Gesù sia un mito, questi documenti pur se polemici sono preziosi e importanti perchè parlano e  confermano l'esistenza storica di Gesù e mai lo  ritengono un mito come persona. Poichè non ha senso parlare talvolta anche con un certo tono di un personaggio mai esistito come fanno questi storici di  Gesù, essi non fanno altro che renderci un favore perchè confermano che Gesù non è stato un personaggio mitologico ma reale. Oltretutto, questi storici, essendo non cristiani, non avrebbero avuto alcun interes. Se a parlare di un personaggio mai  esistito. 

Ma perchè uno storico non credente e non cristiano  avrebbe dovuto parlarci di Gesù? La risposta è  semplice, perchè è uno storico e uno storico per vocazione, per passione, per scelta fa il suo lavoro a prescindere dalla sua fede o non fede. Uno storico  che ha per esempio la passione o un certo interesse per la storia del Nazismo non vuol dire che egli sia un nazista come gli storici che parlano della storia del  cristianesimo (anche nei libri di storia) scolastici non  debbono necessariamente essere tutti credenti e se  una studioso si interessa dell'ateismo non vuol dire  che egli sia per forza ateo. Il problema rimane  sempre lo stesso e cioè che lo storico deve mettere a nanna le sue posizioni personali e attenersi  professionalmente e scrupolosamente alle fonti. Un docente di storia, o uno storico molto preparato sul  Cristianesimo non necessariamente deve essere un  credente. (discorso diverso nelle Facoltà  ecclesiastiche). 2. Le fonti extrabibliche confermano alcuni fatti (in  breve) e parlano di alcuni personaggi e classi sociali,  che ritroviamo anche nei vangeli. In questo caso la  fonte extrabiblica conferma i vangeli. Un esempio  pratico è Giuseppe Flavio che in poche frasi fa un riassunto della vita di Gesù, dall'inizio della vita  pubblica fino alla sua morte pur esprimendo delle riserve sulla Resurrezione. (vedremo meglio strada facendo). Alcune Obiezioni: secondo alcuni studi (in rete soprattutto), molti scritti di questi storici sono stati manipolati dai cristiani per  tirare come si dice "l'acqua al proprio mulino", non si capisce però a quale scopo, dato che in quel periodo  (primi secoli) i cristiani erano perseguitati e anche in  modo abbastanza violento. E' ovvio che queste tesi  sulle presunte manipolazioni di questi documenti storici provengono per lo più da ambienti ateistici o  da coloro che optano per una Cristologia diversa da  quella che noi conosciamo (ma di queste "tesi  annacquate" se ne parlerà strada facendo e  analiticamente quando parleremo dei "falsi storici"). 

In ogni modo voglio subito dire che da parte mia e per onestà intellettuale, farò tutto il possibile di  postare materiale più vicino ai testi originali anche se non potrò purtroppo fare a meno di citare alcune frasi in greco o latino (con traduzione) essendo questi testi storici, scritti in lingua originale. E comunque, anche se ci fossero state delle manipolazioni, come avremo modo di vedere, se  spogliamo questi testi da presunte manipolazioni, vedremo che la sostanza non cambia e le "aggiunte"  non toccano la sostanza. Quale sia poi il criterio per stabilire quale frase o parola possa essere un'aggiunta ai testi originali, lo vedremo man mano  che citeremo i testi in relazione all'autore. Domani, inizieremo a parlare di alcuni di questi storici più importanti (fra tanti), ad iniziare da Giuseppe  Flavio, storico ebreo del I sec. d.C.

Il grande storico romano Tacito (54-119), pretore,  oratore, consul suffectus e proconsole in Asia, scrisse  attorno al 112 i suoi 16 libri di Annali, che narrano la  storia romana dalla fine del principato di Augusto (14  d.C.) alla morte dell’imperatore Nerone (68). Nel 64 scoppiò il grande e ben noto incendio della città di Roma, del quale il medesimo imperatore fu accusato  dall’opinione pubblica; il nostro storico ci narra che  Nerone cercò in tutti i modi di favorire le vittime del disastro e di stornare da sé l’accusa che pendeva sul suo  capo, con vari provvedimenti. “Tuttavia né con sforzo umano, né per le munificenze del  principe o cerimonie propiziatorie agli dei perdeva credito l’infamante accusa secondo la quale si credeva che l’incendio fosse stato comandato”. 

A questo punto si inserisce il riferimento a Cristo ed ai  suoi seguaci: “Perciò, per far cessare tale diceria, Nerone si inventò dei colpevoli e sottomise a pene raffinatissime coloro che la  plebaglia, detestandoli a causa delle loro nefandezze,  denominava cristiani. Origine di questo nome era Cristo,  il quale sotto l'impero di Tiberio era stato condannato al supplizio dal procuratore Ponzio Pilato; e, momentaneamente sopita, questa esiziale pratica  religiosa di nuovo si diffondeva, non solo per la Giudea,  focolare di quel morbo, ma anche a Roma, dove da ogni  parte confluisce e viene tenuto in onore tutto ciò che vi è  di turpe e di vergognoso. 

Perciò, da principio vennero  arrestati coloro che confessavano, quindi, dietro denuncia di questi, fu condannata una ingente moltitudine, non tanto per l’accusa dell'incendio, quanto per odio del  genere umano. Inoltre, a quelli che andavano a morire si aggiungevano beffe: coperti di pelli ferine, perivano  dilaniati dai cani, o venivano crocifissi oppure arsi vivi in guisa di torce, per servire da illuminazione notturna al  calare della notte. Nerone aveva offerto i suoi giardini e  celebrava giochi circensi, mescolato alla plebe in veste  d’auriga o ritto sul cocchio. Perciò, benché si trattasse di rei, meritevoli di pene severissime, nasceva un senso di pietà, in quanto venivano uccisi non per il bene comune,  ma per la ferocia di un solo uomo” (Ann. XV, 44). 

La descrizione di Tacito ci informa innanzitutto che a  quell’epoca la comunità cristiana di Roma disponeva di un considerevole numero di membri, poiché una ingens multitudo rappresenta certo un numero considerevole.  Poi, ci fornisce qualche spunto anche per comprendere  quale fosse l’idea della Roma pagana riguardo a questa  nuova fede. E' interessante notare che questo evento (Incendio di Roma) viene confermato da altri storici dei  primi secoli come Cassio Dione, Gaio Svetonio Tranquillo  e Plinio il Giovane (ne parleremo nel prosimo paragrafo).Tacito ci fa notare che i cristiani erano invisi al popolo “a causa delle loro nefandezze”, e che la loro fede era una  “esiziale superstitio”; essi sono definiti “rei” e “meritevoli  di pene severissime”, accusati di “odio del genere umano”. Il cristianesimo era agli occhi dei pagani una superstitio nova, e i cristiani erano dei molitores rerum novarum,  perché introducevano un culto e uno stile di vita assai diverso da quello tradizionale.  Superstitio non è più, nel linguaggio romano, un sinonimo di religio, ma ne è l’opposto; superstitiones sono quei culti stranieri o innovatori che non corrispondono alla  tradizione degli antenati (mos maiorum) e non hanno  ricevuto pubblico riconoscimento. Così, fin dall’epoca  antica, stabiliva la prescrizione attribuita al re Numa e  riportata da Cicerone: “Nessuno abbia proprie divinità  nuove o straniere, non riconosciute pubblicamente”. 

Superstitiones sono definiti quindi tutti i culti orientali, il  cui carattere a lor modo di vedere smodato (immodicus) non può non suscitare una istintiva diffidenza agli occhi  del romano colto; non sono esenti da questa accusa il  giudaismo e la religione egiziana. Il cristianesimo è dunque una superstizione straniera, e per di più dotata dell’eccesso comune ai culti orientali; è  una “superstizione nuova”, per cui non gode neppure della caratteristica dell’antichità, che dai Romani veniva  sempre guardata con grande rispetto. La colpa dei cristiani è quella riassunta dall’espressione  “odio del genere umano”: essi costituivano nella società  imperiale un gruppo a sé, estraniato dalla vita pubblica e dalla religiosità comune, che era un elemento di coesione sociale. Il rifiuto di adesione alla religione dello stato era  visto come un atto di sovversione politica, esattamente come la tendenza a rifiutare costumi ed istituzioni tradizionali e ad estraniarsi dalla vita pubblica. La stessa  accusa era stata rivolta dagli scrittori greci ai Giudei, e il  medesimo Tacito la aveva già affibbiata a loro, come ora  fa con i Cristiani, tacciandoli di “ostile odio verso tutti gli  altri”. Ma mentre gli Ebrei potevano vantare l’antichità  del loro culto, i Cristiani non erano visti altrimenti che  come una pianta avulsa dal ceppo giudaico. 

Negli stessi anni, Plinio il Giovane pare essersi parzialmente ricreduto circa i pregiudizi che derivavano da tal giudizio, come ci indica la lettera che esamineremo più avanti. Le poche parole di Tacito riferite a Gesù Cristo, mostrano che egli è ben informato a riguardo, e che la fonte a cui  attinse dovette su questo punto essere ottima. Invero si sa che Tacito raccoglie le notizie con molta circospezione, al punto che talora si è potuto con buon esito riconoscere i documenti preesistenti di cui egli si è valso, e in qualche modo stabilire le derivazioni delle notizie riferite.  Il fatto che Tacito non usi le classiche espressioni del  “sentito dire”, quali ferunt, tradunt (si dice, si racconta)  ci fa pensare che egli attingesse a notizie di prima mano. 

Il problema delle fonti delle quali Tacito si è avvalso è un  tema ancora aperto, ma la critica ha oramai raggiunto dei risultati assodati. Innanzitutto Tacito, per la sua posizione politica, aveva accesso agli acta senatus, ovvero i verbali  delle sedute del senato romano, e gli acta diurna populi Romani, ovvero gli atti governativi e le notizie su ciò che accadeva giorno per giorno. Egli è comunemente riconosciuto come storico tra i più scrupolosi, come ci  attesta anche l’antica testimonianza di Plinio il Giovane  che ne loda la diligentia; Tacito si dedicò infatti con gran diligenza e scrupolo alla raccolta di informazioni e  notizie, utilizzando non solo fonti letterarie, ma anche  documentarie. 

Certo anch’egli, come era costume, seguì  pure i lavori degli storici precedenti: egli stesso cita le opere di quattro autori, ovvero Plinio il Vecchio, Vipsiano  Messalla, Cluvio Rufo e Fabio Rustico. Difficile è però la  ricostruzione precisa delle fonti (tutte perdute) usate per  ogni singola sezione della sua opera, che erano probabilmente le stesse cui attinsero anche i contemporanei Svetonio e Plutarco, come dimostrano certe concordanze assai precise su alcuni argomenti  comuni. Si è detto che Plinio il Vecchio (23-79, deceduto mentre  osservava l’eruzione del Vesuvio) è una delle fonti esplicitamente citate da Tacito; egli, inoltre, era amico del nipote di lui, Plinio il Giovane, il cui grande legame ci  è testimoniato dall’epistolario incorso tra i due. 

Prima di parlare delle guerre giudaiche Tacito ha una digressione sulla Giudea che, nell’insieme, riproduce una descrizione fatta da Plinio il Vecchio nel libro V della sua  Naturalis historia. Ora, sappiamo che Plinio conosceva la Palestina direttamente, in quanto si era colà recato e  forse aveva preso parte alla guerra del 70; sappiamo  anche che la sua opera più importante ed ambiziosa, alla  quale certamente Tacito attinse, fu la perduta A fine  Aufidi Bassi, che trattava il periodo tra la fine dell’impero di Claudio e l’ascesa di Vespasiano, e che fu pubblicata  postuma dal nipote. Per questo, si è avanzata da alcuni l’ipotesi che Tacito, nel riferire notizie su Gesù, abbia seguito una qualche citazione di Plinio, oggi perduta;  questa congettura, pur essendo assai seducente, deve  ancora essere sottoposta a verifica. Due analisi di questo passaggio di Tacito da parte dei proff. Marius Lavency e Ludovic Wankenne dell'università di Lovanio sono reperibili in rete, in lingua francese. Testo originale dell'Incendio di Roma - Annales, Liber XV, 44:

Sed non ope humana, non largitionibus principis aut deum placamentis decedebat infamia quin iussum  incendium crederetur. Ergo abolendo rumori Nero  subdidit reos et quaesitissimis poenis adfecit quos per flagitia inuisos uulgus Christianos appellabat. Auctor nominis eius Christus Tiberio imperitante per procuratorem Pontium Pilatum supplicio adfectus erat; repressaque in praesens exitiabilis superstitio rursum  erumpebat, non modo per Iudaeam, originem eius mali,  sed per urbem etiam quo cuncta undique atrocia aut pudenda confluunt celebranturque. Igitur primum  correpti qui fatebantur, deinde indicio eorum multitudo ingens haud proinde in crimine incendii quam odio  humani generis conuicti sunt. Et pereuntibus addita  ludibria, ut ferarum tergis contecti laniatu canum interirent, aut crucibus adfixi aut flammandi, atque ubi defecisset dies in usum nocturni luminis urerentur.  Hortos suos ei spectaculo Nero obtulerat et circense  ludicrum edebat, habitu aurigae permixtus plebi uel  curriculo insistens. Vnde quamquam aduersus sontis et  nouissima exempla meritos miseratio oriebatur, tamquam non utilitate publica sed in saeuitiam unius absumerentur

TRADUZIONE: 

Nessuno sforzo umano, nessuna elargizione dell'imperatore o sacrificio degli dei riusciva ad  allontanare il sospetto che si ritenesse lui il mandante dell'incendio. Quindi, per far cessare la diceria, Nerone si inventò dei colpevoli e colpì con pene di estrema crudeltà coloro che, odiati per il loro comportamento contro la  morale, il popolo chiamava Cristiani. Colui al quale si  doveva questo nome, Cristo, nato sotto l'impero di  Tiberio, attraverso il procuratore Ponzio Pilato era stato  messo a morte; e quella pericolosa superstizione, repressa sul momento, tornava di nuovo a manifestarsi, non solo in Giudea, luogo d'origine di quella sciagura, ma anche a Roma, dove confluisce e si celebra tutto ciò che d'atroce e vergognoso giunge da ogni parte del mondo. Quindi dapprima vennero arrestati coloro che confessavano, in seguito, grazie alle testimonianze dei primi, fu dichiarato colpevole un gran numero di persone  non tanto per il crimine di incendio, quanto per odio nei confronti del genere umano. E furono aggiunti anche scherni per coloro che erano destinati a morire, che, con la schiena ricoperta di belve, morissero dilaniati dai cani, o che fossero crocefissi o dati alle fiamme e, tramontato il sole, utilizzati come torce notturne. Per quello spettacolo  Nerone aveva offerto i suoi giardini ed allestiva uno  spettacolo al circo, confuso fra la folla in abito da auriga o salendo su una biga. Quindi, benché le punizioni fossero rivolte contro colpevoli ed uomini che si meritavano l'estremo supplizio, sorgeva una certa compassione nei loro confronti, come se i castighi non fossero stati inflitti per il bene pubblico, ma per sadismo di un solo uomo.