Autore: Frediano Sessi
Editore: Einaudi Ragazzi, 2020
Pagine: 160
Il libro fa parte della collana “Presenti passati”, e il filo che collega passato e presente ne è il nucleo narrativo, originato dalle domande di un'ex-liceale che prosegue gli studi in Germania.
È ambientato in un anno futuro con due cifre significative: nel 2045, a Berlino, dove l’italiana Jessica studia musica. È una città in cui hanno perso valore «la Memoria e anche le targhe commemorative», e dove un suo amico tedesco le ripete che «la cosiddetta Shoah è un complotto ordito da Israele contro la Germania». Jessica allora riapre un dialogo online con il suo vecchio professore di liceo perché le racconti tutto dall’inizio, «ma sinceramente, eh, prof... Perché i tedeschi se la presero tanto con gli ebrei? Perché li consideravano i nemici assoluti?».
La sfida viene raccolta, e le risposte del “prof” faranno luce, di volta in volta, su diversi aspetti del nazismo, dal termine Shoah ai testi fondamentali e alle fonti, dal progetto eugenetico di una razza “totalmente ariana”, alla selezione di persone deformi o malate di mente. Gli «scarti umani per Hitler», commenta Jessica.
Si tratta di una narrazione dialogica via social, pertanto la narrazione del professore procede per passaggi successivi. Si va dalla fine dell’Ottocento, con l’idea di diseguaglianza delle razze, al Mein Kampf di Hitler e alla sua ascesa al potere, alle leggi di Norimberga e nascita dello Stato razziale, e poi ancora, il progetto del Reich millenario e di un Nuovo ordine europeo, la Soluzione finale, la guerra, nonché le vicende dell’Italia fascista dopo l’8 Settembre.
Alla domanda su come si sia passati dall’idea di “razza inferiore” al progetto sistematico della distruzione nei campi di sterminio per gli ebrei di tutta Europa, il prof ricorda: «L’esperimento Polonia è il brutale modello di gerarchia razziale, al vertice i tedeschi con pieni diritti, i polacchi e gli ebrei che vengono rastrellati. La Polonia è stata la sede di operazioni segrete per lo sterminio degli ebrei». Al nazismo si sono via via allineati governi collaborazionisti, come Norvegia e Danimarca. Le domande conclusive di Jessica riguardano la giustizia contro i criminali di guerra e le varie forme del negazionismo.
Lo scambio epistolare l’ha ormai fatta ragionare sul significato dell’intera vicenda storica. L’esito della fitta corrispondenza tra i due protagonisti è un dossier che la studentessa leggerà in occasione del 27 gennaio come azione simbolica per ripristinare il Giorno della Memoria nelle scuole.L'autore e il suo stile narrativo
Frediano Sessi è scrittore e giornalista con molteplici collaborazioni editoriali, nonché docente di Didattica della Shoah all’Università di Roma 3. La sua linea narrativa è quella di raccontare storie vere di ragazzi, uomini e donne che hanno vissuto il Novecento, secolo della guerra e dei totalitarismi. Sul tema dello sterminio ha scritto anche: Ritorno a Berlino, Marsilio, 1993, Prigionieri della memoria (2006).
Gli adolescenti sono i fondamentali destinatari della sua scrittura, basata sul valore della testimonianza e della verità storica. Tra i suoi romanzi e racconti per ragazzi segnaliamo: Ultima fermata: Auschwitz, Einaudi ragazzi, 1996 (ultima ristampa 2016); Prigioniera della storia. Margareta Buber Neumann, testimone assoluta, EL edizioni, 2005; Il mio nome è Anna Frank, Einaudi Ragazzi 2010; Ero una bambina ad Auschwitz, Einaudi Ragazzi, 2015.
Attualmente è membro del Comitato scientifico della Fondazione Auschwitz di Bruxelles.
Autore: Marcello Flores
Editore: Il Mulino, 2020
Pagine: 140
Il libro, come immediatamente avverte l’autore nell’introduzione, pone complesse domande più che dare facili risposte alla contraddizione, all’apparenza paradossale, tra la smisurata crescita del ruolo della memoria nella nostra società e il progressivo impoverimento della cultura storica verificatosi negli ultimi trent’anni. La memoria, intesa come narrazione di testimonianze ritenute per se stesse autentiche e attendibili, ha preso sempre più il posto delle ricostruzioni storiche capaci di contestualizzare criticamente gli eventi e di analizzarli, per quanto possibile, oggettivamente e razionalmente. Questa vera e propria dilagante “ossessione della memoria” porta con sé palesi pericoli che l’autore, storico di fama e prestigio, evidenza ponendosi di proposito controcorrente rispetto al pensiero dominante. Infatti, l’ipertrofia delle memorie tende o ad appiattire sul presente gli eventi, fermando l’informazione e la formazione all’emotività, oppure a sacralizzarli enfaticamente, riducendoli a momenti commemorativi carichi di retorica. Non a caso argomenta Flores, citando uno studio sul tema, «negli ultimi vent’anni il razzismo e l’intolleranza sono aumentati a dismisura» proprio nei paesi che hanno sviluppato maggiormente le politiche della memoria.Il capitolo dedicato alla Shoah è indubbiamente, a questo proposito, significativo, in quanto se da una parte mette in luce il circolo virtuoso creatosi a partire dagli anni novanta tra memorialistica e studi storici, dall’altra mette in guardia contro una crescente «istituzionalizzazione e monumentalizzazione» della memoria. Infatti se la memoria della Shoah diventa un fondamentale modello per ripensare gli studi sui genocidi novecenteschi (da quello armeno a quelli ex jugoslavo e ruandese) al tempo stesso rischia di ridurre la storia a un teatrale scontro tra bene e male.
Meritevole pure di riflessione risulta l'approfondimento sul confronto avvenuto negli ultimi decenni tra il totalitarismo nazista e quello comunista, troppo condizionato - a detta dell’autore - da una memoria «dimentica del ruolo di comprensione della storia» e scaduta in una specie di tribunale morale e politico, spesso smaccatamente di parte, dove la memoria, carica d’ideologia, «prende il sopravvento» sulla realtà degli avvenimenti.
Flores non tralascia di affrontare, nell’ultimo capitolo, il tema del vitale bisogno di costruire una memoria comune a fondamento dell’Unione Europea. L'identità europea, oggi così incerta e fragile, fa fatica ad armonizzare e condividere le tante memorie spesso divergenti che caratterizzano la sua lunga e travagliata storia. E i lodevoli tentativi, come la costruzione a Bruxelles nel 2017 della Casa della storia europea dedicata alla storia dell’Europa dall’antichità ai giorni nostri, con particolare attenzione al Novecento, risultano essere esperienze significative, ma non decisive e complete. Senza un’autentica cultura storica, scevra da emotività e sovranismi, l’Europa poggerà sempre su basi insicure.
Il libro non si limita alla denuncia degli abusi e storture della “cattiva memoria”, ma vuole promuovere con spirito costruttivo la sempre più attuale necessità di raccontare la storia con modalità nuove e originali, attraverso una narrazione capace d’inglobare e rielaborare la memoria, e non di esserne ancella. Per riuscire in questo intento, in primis, vanno evitate le semplificazioni di tipo binario caratteristiche della nostra società della comunicazione, fuorvianti e banalizzanti, e va poi recuperata l’articolazione e problematicità dei fatti che non si lasciano mai ridurre a parziali, soggettivi e preconcetti schemi interpretativi. Da qui sorge l’esigenza, in un mondo sempre più globalizzato, di iniziare a raccontare in maniera nuova e diversa la storia, anche come intreccio di plurali memorie: «problema questo, che non riguarda più solo gli storici professionisti, ma tutti noi, in quanto ne va della nostra identità collettiva».
Tra i molteplici spunti per il lavoro in classe offerti dal libro, si consiglia d'iniziare con una discussione collettiva che prenda spunto da una riflessione della semiologa Valentina Pisanty (I guardiani della memoria e il ritorno delle destre xenofobe, Bompiani, 2020), citata nell’introduzione del testo e ripresa nel X capitolo, riguardante la contraddizione emersa nell’ultimo ventennio tra lo smisurato proliferare nelle scuole di iniziative riguardanti le giornate delle memorie, da quella della Libertà a quelle della Legalità, a quella del Ricordo e, d’opposto, l’esplodere di gravi fenomeni d’intolleranza e razzismo.
Scopo della riflessione è quello di risvegliare negli studenti la capacità di problematizzare le ragioni delle proposte commemorative che invadono le scuole e di non accettarle passivamente come un mero rituale di partecipazione passiva. Il docente può far ragionare la classe sui possibili rischi connessi a una riduzione degli avvenimenti storici a una moraleggiante lotta tra buoni e cattivi, avulsa dai contesti e incapace d’interpretare criticamente i fatti appiattendoli sull’attualità. Un dibattito aperto tra gli studenti che abbia come premessa, per esempio la lettura dei testi di David Bidussa (Dopo ultimo testimone, Einaudi, 2009) o di Cecilia Cohen Hemsi Nizza (presenti sul sito “Agorà”), può essere d’aiuto per un approccio argomentato della questione.
Confondere la memoria, per sua essenza selettiva e imprecisa, con la storia è una grave errore da evidenziare didatticamente; la storia ha una verificabilità documentale che prescinde dai particolari ricordi dei singoli, per loro stessa definizione non condivisibili. Come sottolinea Flores, gli abusi di memoria non hanno affatto accresciuto nelle persone né le conoscenze storiche né la consapevolezza civica di quanto è accaduto. Tutto questo non può passare inosservato ed obbliga il mondo della formazione a un serio ripensamento anche sul modo di programmare e divulgare gli eventi storici.
Strettamente collegato a questa tematica è l’utilizzo ideologico o addirittura propagandistico della memoria a fini politici e di potere. A questo proposito, può essere un valido approccio didattico progettare, mediante gruppi di lavoro, una serie di ricerche sul web con lo scopo di raccogliere, selezionare e vagliare articoli, interviste, dichiarazioni riguardanti il tema delle Foibe che ha diviso e continua a dividere il mondo politico e l’opinione pubblica. Cercare di far comprendere agli studenti la differenza tra un approccio strumentale, se non proprio manipolatorio, dei fatti e una faticosa e documentata ricostruzione degli stessi, diventa un passaggio essenziale della loro crescita culturale. Lo scontro tra le memorie, che molto si presta alla spettacolarizzazione televisiva, va superato per cercare di raggiungere una prospettiva condivisa al fine di ripristinare il senso storico capace di dare valore e profondità al presente. Come contribuire a costruire una cultura storica tra le nuove generazioni?
Come evitare le semplificazioni e le strumentalizzazioni?
Come conciliare l’esistenza di memorie diverse?
Sono quesiti che possono essere portati all’attenzione degli studenti. Coinvolgerli in tali questioni mediante momenti di confronto, che possono sfociare anche in produzioni scritte, ad esempio utilizzando il genere espressivo dialogico, può diventare una strada per favorire e rilanciare lo studio consapevole e la passione per la storia nelle scuole superiori, ormai da anni in indubbio calo ed allarmante disaffezione.
Autore: Emanuela Zuccalà
Editore: Paoline Editoriale Libri, 2019
Pagine: 176
Il libro: La nuova ed aggiornata edizione del libro narra in prima persona la testimonianza di Liliana Segre (Milano, 1930), una delle ultime voci sopravvissute ad Auschwitz. Il racconto «scaturito dall’ascolto delle sue conferenze e conversazioni private» fluisce lucido e pacato, ricostruendo la sua storia di «bambina ad Auschwitz», dalla promulgazione delle leggi razziali fasciste del settembre del 1938 fino «all’ubriacatura di libertà» del 1 maggio 1945, con l’apertura del lager di Malchow. È la testimonianza del traumatico passaggio di una bimba di otto anni, con «una vita tranquilla e felice nel microcosmo familiare», prima nella «zona grigia dell’indifferenza», colpevole senza colpa d’essere ebrea, poi catapultata nell’annientante esperienza della carcerazione e della deportazione. Ed è proprio il viaggio (30 gennaio 1944) uno dei capitoli più terribili della storia. Sei giorni di pianti, preghiere e silenzi in un’atmosfera surreale, anticamera dell’annichilimento. Il 6 febbraio 1944 Auschwitz si presenta nella sua crudezza, ottenebrando il cuore e la mente. Qui la differenza tra il vivere e morire è scandita da un ossessivo «Tu sì, tu no». In seguito si rincorrono la straziante quanto indimenticabile separazione dal padre, l’annullamento dell’identità personale, la riduzione a «numeri e pezzi», gli stenti, le strategie per sopravvivere, «la marcia della morte»: frammenti di disumanità raccontati sempre con una finalità pedagogica, senza odi né rancori. Perché tutto questo? è il grido che risuona forte dalla prima all’ultima pagina, grido al quale le nostre coscienze ancora oggi non possono sottrarsi e smettere d’interrogarsi.La scheda didattica1. Liliana Segre, per quarantacinque anni, dal 1945 al 1990 ha preferito, per libera scelta personale, tacere sulla sua esperienza di deportata e internata per poter ricostruire le fondamenta della sua vita, per poi decidere di diventare - soprattutto nei confronti delle nuove generazioni - testimone del dramma dello sterminio. Al fine di sviluppare le abilità di collegamento e rielaborazione, l’insegnante può condurre gli studenti a confrontare l’atteggiamento di iniziale silenzio e rimozione e poi di attiva testimone della Segre con qello di altri autori che hanno vissuto e narrato la loro esperienza nei campi di sterminio, ad esempio, Marek Edelman, Eva Mozes Kor, Elie Wiesel e lo stesso Primo Levi. Gli alunni possono esprimere infine un giudizio critico sul tema, mettendo in luce, in particolare modo, la forte lacerazione interiore vissuta dai testimoni, divisi tra un angoscioso ma necessario silenzio per ricominciare a vivere e la consapevolezza del valore della memoria come strumento di formazione e crescita personale, sociale e civile.
2. Nel libro della Segre, la memoria è vista come un potente antidoto al “grigiore dell'indifferenza” e un valido laboratorio per la costruzione del senso della responsabilità civile. Si può proporre alla classe, per gruppi o in un lavoro individuale, di commentare questa affermazione e sostenerla con argomentazioni personali.
3. Un possibile ulteriore spunto di ricerca, da sviluppare singolarmente o in piccoli gruppi di lavoro, risulta essere l’utilizzo del portale del Memoriale della Shoah di Milano - e una eventuale, quando possibile, visita guidata al sito - per scoprire storie di altre sopravvissute, tra le quali quella di Goti Bauer, partite dal famigerato Binario 21 verso gli orrori di Auschwitz- Birkenau. Meritevole d’approfondimento, per continuare a sviluppare e dibattere il tema della Memoria, è la sezione del portale dedicata alle “pietre d’inciampo”, iniziativa creata dall’artista Gunter Demnig, come «reazione ad ogni forma di negazionismo e di oblio».
Autore: Walter Barberis
Editore: Einaudi, 2019
Pagine: 96
Il libro: L’autore, docente di Storia moderna all’Università di Torino, con il suo ultimo lavoro stimola i lettori ad una riflessione argomentata sul problematico ruolo dell’attivazione della memoria nel costruire e scrivere la storia della Shoah. Il testo breve e penetrante pone come premessa indispensabile ad ogni analisi critica su tale tematica la distinzione, non banale, tra ricordo, memoria e storiografia. I primi due, usati spesso come sinonimi, vengono legati ad un groviglio di immagini emotive e soggettive, a volte distorto e precario; la storiografia invece ad una ricostruzione documentata di eventi verificati, capace di produrre “buona storia”. Successivamente Barberis s’interroga sui motivi per cui dopo la fine della Seconda guerra mondiale ha prevalso a lungo l’oblio sui temi della Shoah, emarginati rispetto al racconto nazionale della vittoriosa lotta di Liberazione dal totalitarismo fascista, mentre negli ultimi anni, al contrario, assistiamo in alcuni casi ad un enfatico abuso del Giorno della Memoria. Come si spiega questa inversione d’atteggiamento? Il libro ricostruisce così le più significative tappe della scrittura della Shoah, dalla travagliata rottura del silenzio iniziale da parte di Primo Levi, all’importanza del valore terapeutico del raccontare, passando poi attraverso la sempre maggiore consapevolezza storica diffusasi nella società sui temi delle origini dell’antisemitismo e del razzismo, fino ai rischi, diventati oggi concreti, di ridurre gli eventi a puro e formale cerimoniale del ricordo. Sullo sfondo permane lo scottante interrogativo: cosa «consegnare di autenticamente formativo alle nuove generazioni», inondate di informazioni senza verifica, una volta scomparso anche l’ultimo testimone?La scheda didattica1. Tra le molteplici questioni poste da Barberis merita un approfondimento – ad esempio, tramite lo sviluppo per iscritto di una traccia di tipo storico-filosofico - la domanda, posta inizialmente da Primo Levi, se «la tragedia della Shoah, visto che è successa, avrebbe di nuovo potuto succedere, magari in condizioni e luoghi diversi». Riflettere su questo interrogativo, prendendo spunto da ricerche di fatti di cronaca riguardanti il continuo ritorno di inquietanti episodi d’antisemitismo e di negazionismo, può essere utile per dare profondità al presente. Scopo del lavoro è guidare la classe nella lettura e interpretazione degli avvenimenti in maniera problematica. L’insegnante può sollecitare gli studenti, partendo da episodi d’attualità narrati dai mezzi d’informazione, a formulare motivate opinioni sui temi affrontati, fondate non su impressioni emotive ma su un adeguato “spessore” storiografico.
2. Un altro possibile suggerimento di ricerca può essere la lettura di alcune testimonianze significative dal processo di Norimberga (novembre ‘45 – ottobre ‘46), che permise di iniziare a rompere il silenzio sulla Shoah, reperibili sul sito United States Holocaust Memorial Museum. A questo proposito può anche essere utile ai fini della ricerca la visione del film Nuremberg (2000). Confrontare alcune documentazioni con il successivo processo al criminale nazista Adolf Eichmann (Gerusalemme 1961), magistralmente raccontato al mondo da Hannah Arendt nel libro La banalità del male (prima edizione 1963), può diventare un interessante percorso laboratoriale capace di intrecciare documentazione storiografica e testimonianze dei protagonisti.
Autore: Giovanni Grasso
Editore: Rizzoli narrativa, 2019
Pagine: 382
«Vedrete, prima o poi ci vieteranno persino di ridere», questa frase pronunciata dal giovane ebreo Salamon, nella Norimberga del 1933, da poco governata dai nazisti, fa da preludio e profezia a Il caso Kaufmann. Il romanzo, ispirato ad una storia vera, ricostruisce con lucidità e pathos, il crescendo di discriminazioni e violenze naziste contro la comunità ebraica, a partire dall’arianizzazione della pubblica amministrazione del ‘33 fino alla soluzione finale del ‘41. Al centro del racconto c’è la figura di Kaufmann Israel Lehmann, detto Leo, sessantenne facoltoso commerciante ebreo, rimasto vedovo, presidente del Centro culturale ebraico di Norimberga le cui vicende personali s’intrecciano e fondono con l’ascesa di quel groviglio purulento di odi, risentimenti e folli ambizioni che caratterizzano la presa di potere nazista. La vita di Leo, sempre più umiliato e immiserito, è una drammatica testimonianza di questa parabola discendente verso un doloroso svuotamento della sua dignità di uomo, che lo fa regredire alla condizione di un «vivere da morti». Accusato e processato per «inquinamento razziale» a causa di una fantomatica relazione sessuale con Irene, giovane tedesca figlia di un carissimo amico, Leo, ebreo «pieno» secondo la definizione delle leggi vigenti di Norimberga, rimane vittima di un sistema giudiziario sprezzante di ogni forma di diritto, ma forse, ancora di più, viene ucciso dalle crudeli e opportunistiche maldicenze di vicini di casa, dipendenti, amici, gente comune: il tanto glorificato Volk. E proprio nel nome del popolo tedesco, la sentenza è già scritta. Lasciamo al lettore di conoscerla nei dettagli. Quello che vale la pena sottolineare è che se la vita di Leo si chiude in modo triste, uno spiraglio di cielo s’intravede al di là delle inferriate della sua prigione: il tentativo nazista d’estirpare ogni traccia d’umanità dall’anima delle persone non avrà la meglio. Tra le righe dell’intenso epilogo riemerge insopprimibile il desiderio di ridere, amare, dissentire e guardare avanti, che nessun sistema di terrore, per quanto liberticida e violento, potrà mai negare. Così come è possibile anche riflettere, nel finale del libro, sul tema delle responsabilità e delle colpe naziste. Una volta accertate e giudicate penalmente le responsabilità criminali e politiche, rimane sempre aperto, come scrisse il filosofo tedesco Karl Jaspers (1883 – 1969), il problema delle colpe morali e metafisiche. E l'interrogarsi oggi, sul come allora non fu possibile per la stragrande maggioranza delle persone rimanere umani, inquieta e angoscia ancora le nostre coscienze.
Autore: Georges Bensoussan
Editore: Libreria Editrice Goriziana, 2018
Pagine: 203
Manuale indispensabile per ogni docente, questo Atlante presenta la storia dello sterminio di 6 milioni ebrei europei tra il 1933 e il 1945 in una nuova prospettiva di grande valore formativo. Infatti, come ricorda l’autore, storico francese contemporaneo, presentare la Shoah mediante la cartografia permette di analizzare i problemi con «un’angolazione diversa», evidenziando i nessi e gli intrecci tra i luoghi-chiave, le modalità, l'estensione, la demografia e la cronologia del genocidio e stimolando così una feconda relazione tra lo studio della storia e quello della geografia. Proprio questo aspetto risulta essere uno degli elementi di più valida applicazione didattica del libro, in quanto accende lo spirito d’osservazione e sprona le capacità d’intuire collegamenti e rimandi tra mappe ed eventi storici nel lettore, sviluppando un approccio attivo e operativo alle conoscenze. Il testo è strutturato in quattro capitoli che ricostruiscono cronologicamente la genesi e le radici dell’antisemitismo prima del 1939, il passaggio dall’universo concentrazionario allo sterminio di massa nella Germania nazista nel triennio 1939–1941, dopo l’invasione della Polonia, e la radicalizzazione verso il genocidio su scala continentale con la “soluzione finale” del 1942 e la liquidazione dei ghetti, vera e propria «fabbrica per la macellazione di esseri umani». L’ultimo capitolo è dedicato, dopo il crollo del Terzo Reich, a cercare di stilare un bilancio del genocidio non definibile né misurabile - secondo l’autore - in cifre spazio-temporali, in quanto nessuna statistica e nessuna rappresentazione cartografica e quantitativa possono rendere conto dell’immenso e profondo dolore di «tutte le vite stroncate individualmente». In conclusione, Bensoussan non si limita ad evidenziare, con interessanti e originali carte, l’unicità e l'estensione del genocidio, a fare riflettere sulla collaborazione di milioni di europei e la colpevole indifferenza di un numero ancora maggiore, ma intende far comprendere che la Shoah non fu un nuovo ed ennesimo massacro della storia umana, poiché nei lager non morirono solo bambini, donne e uomini, ma la «nostra stessa essenza di esseri umani».
Autore: Marta Villa
Editore: Stamen, 2018
Pagine: 196
Il libro, con prefazione di Giorgio Galli, si propone come obiettivo principale quello d’indagare «il perché si sia sviluppato e del perché continui a perdurare» il morbo dell'antisemitismo, dall’impero romano ai giorni nostri, studiando in special modo, non tanto le radici politico-ideologiche del fenomeno, ma quelle antropologiche e simboliche. L’autrice, antropologa della contemporaneità, ripercorre la storia della costruzione dell'identikit dell’ebreo inteso come “diverso” e “nemico”, scavando in profondità, negli archetipi e nelle leggende costitutive e fondative della mentalità occidentale. Dall’immagine dell’ebreo perseguitato come uccisore di Cristo e imputato di deicidio, dominante in età medievale, fino allo stereotipo dell’ebreo come essere subumano, mostro infido, repellente e corruttore, prodotto ad arte dalla propaganda nazista, il libro evidenzia come l'antisemitismo non sia stato un elemento contingente ed accidentale, ma un tratto essenziale nella storia dell’Occidente con conseguenze nefaste e indelebili. L’ebreo, attraverso una polimorfa serie di rappresentazioni irreali alimentate da dicerie e pregiudizi, si fa metafora dell’errante senza pace e patria (Aasvero), dello strozzino miscredente nella figura di Shylock del Mercante di Venezia di Shakespeare o incarnazione dell’alienazione e della mercificazione capitalistica nell’interpretazione di Marx. In ogni caso, nell'immaginario collettivo l’ebreo rappresenta il topos dell’alterità irrisolvibile, estranea e non assimilabile, che suscita paura e odio come nella favola di Grimm (L’ebreo nello spineto). Nel secondo capitolo del libro, non mancano validi spunti educativi per analizzare e riflettere sulla manipolazione e falsificazione della memoria ad opera dei sistemi totalitari e dell’industria culturale e per affrontare i temi del radicamento dell’antisemitismo nella personalità autoritaria massificata e incapace di spirito critico ed autonomia di giudizio. Un’ interessante appendice, per i suoi possibili risvolti didattici, illustra e commenta i risultati di un questionario qualitativo, elaborato da Adorno e dai colleghi all’Università di Berkeley sul tema dell'antisemitismo e riproposto dall’autrice a selezionati gruppi di persone della città di Monza nel 2002.
Autore: Enzo Romeo
Editore: Ancora, 2017
Pagine: 192
Straordinaria testimonianza del drammatico intreccio tra le vicende personali e i grandi eventi della storia mondiale, il libro Diari a confronto: Anna Frank Etty Hillesum ci coinvolge, pagina dopo pagina, nella tragedia della Shoah, grazie ad un’accurata selezione antologica. In uno dei periodi più feroci e velenosi della storia, la mancanza di odio e rancore di queste due ragazze (Anna ha 13 anni, Etty 27 quando iniziano a tenere i rispettivi diari) è la cifra che impressiona e sorprende, muovendo l’animo del lettore a una profonda riflessione. Quello che traspare dai diari è una radicata fiducia nella vita che si spinge oltre ogni clausura e negatività e mai s’arresta - come scrive la Hillesum - nel voler ostinatamente «produrre frutti e fiori in qualunque terreno si siano piantati». L’autore, scrittore e giornalista Rai, individua una serie di tematiche significative: l’amore e l’amicizia, anima e interiorità, antisemitismo e Shoah, le aspettative sul futuro, per concludere con “vita e morte”, comparando, in ordine cronologico, passi dei diari delle due scrittrici e lasciando libero il lettore di trovare possibili chiavi interpretative e spunti d’analisi, sia psicologico-esistenziali che storiche. Uno dei più interessanti fili conduttori dei diari è il ruolo della scrittura capace d’«espandere il cuore», superare gli angusti e solitari spazi chiusi dell’io ed aprirsi al dialogo, creando energia condivisa: l’amore e l’amicizia diventano così gli autentici propulsori della voglia di raccontarsi e lasciare una traccia. Infatti, per quanto lo spazio vitale si riduca sempre più e i bei tempi sembrano finire, oscurati e annichiliti dalla barbarie nazista, il dovere scrivere non diventa solo una possibilità per vincere l’oblio, ma una necessità per continuare a parlare di futuro e costruire orizzonti di speranza nella consapevolezza che «ciò che viene è buono». Qui la scrittura si fa invocazione e preghiera caricandosi d’aneliti religiosi e di potenza redentrice, in quanto - ricorda Etty - seppure dure e angoscianti appaiono le lezioni di Dio, necessitano sempre di pazienti allievi, capaci di comprenderle e trasfigurale.
Autore: Eva Mozes Kor
Editore: Sperling & Kupfer, 2017
Pagine: 228
L’incontro-intervista di Eva Mozes Kor con il suo carnefice, il sottotenente della SS Hans Munch, medico e collaboratore di Mengele, diventa il preludio della rievocazione della sua deportazione e della sua prigionia. Nella primavera 1944 «la vita molto facile» della decènne Eva e della sua famiglia in un paese della campagna ungherese viene sconvolta dai rastrellamenti della polizia ungherese al servizio dei nazisti e dalla successiva deportazione, attraverso un disumano trasferimento, verso “la rampa degli ebrei” nel lager di Auschwitz-Birkenau, l’inferno in terra. Qui, in poche ore, tra indicibile disperazione, sotto un cielo grigio e spoglio di vita, la sua famiglia si dissolve e con essa la definitiva perdita dell’infanzia di Eva. Solo il suo essere gemella di Miriam rappresenta l’inattesa salvezza dalla morte nella camera a gas e diviene il suo destino di cavia dell’eugenetica criminale di Josef Mengele, alla ricerca della folle moltiplicazione della razza ariana. Inizia così un doloroso calvario di sopravvivenza, di ostinata ribellione all’orrore, di condivisione della sofferenza, di angosciante familiarità con le privazioni, rimanendo sempre tenacemente attaccati alla vita. Resistere, ancora un giorno di più, ad un altro esperimento, era il nome che Eva e Miriam davano alla speranza. Come si può perdonare tutto questo, una volta sopravvissuta? Come liberarsi dall’odio, che giorno dopo giorno, logorava dentro, ancora più delle malattie contratte nel lager?
Nell’occasione del cinquantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz, il 27 gennaio 1995, Eva fa visita al campo accompagnata dal suo aguzzino, dottor Munch. È la svolta. Incontrando e riconoscendo l’autentico pentimento del suo carnefice, l’autrice imbocca la strada del perdono e della riconciliazione. Perdonare, per l’autrice, significa ritornare a essere padroni della propria esistenza e non sentirsi più passivi, indifesi, in balia del proprio rancore. Perdonare non significa però dimenticare, cancellare le terribili vessazione subite nel posto orribile. Solo il memore perdono - ci insegna Eva - rende veramente liberi.
Autore: Matteo Stefanori
Editore: Laterza, 2017
Pagine: 225
Nell’imminente drammatico 80° anniversario della promulgazioni delle leggi razziali in Italia, Matteo Stefanori intende approfondire il peso e la diffusione dei sentimenti antisemiti nell’ideologia e nella politica fascista, confutando l’ancora diffuso pregiudizio storiografico che interpreta le leggi razziali come una semplice scimmiottatura dell’ideologia razzista e ultranazionalista nazista. L’autore, giovane ricercatore specializzato in studi sull’antisemitismo, grazie anche alle indagini su originali fonti d’archivio condotte dal Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano (CDEC), analizza la genesi storica, le caratteristiche peculiari, la funzione e l’utilizzo dei «campi di concentramento provinciali per ebrei», approfondendo in particolar modo, la radicalizzazione delle misure repressive dopo l’8 settembre, connesse con la nascita della R.S.I e l’andamento sempre più brutale del secondo conflitto mondiale. Il volume, strutturato in sei capitoli, ricostruisce in maniera chiara e documentata i legami tra l’amministrazione dei campi, l’ideologia fascista e le autorità tedesche naziste, il ruolo di capri espiatori degli ebrei in Italia a causa delle ricorrenti sconfitte militari e l’inquietante estendersi del cono d’ombra della Shoah sul nostro territorio. Non trascura, inoltre, le reazioni delle popolazioni locali alle misure repressive, partendo dall’analisi particolare dei materiali archivistici riguardanti il campo di Vo’ Vecchio presso Padova, caso interessante per comprendere, tra l’altro, singolari storie delle vittime degli internamenti. Non mancano infine considerazioni sul tema delle responsabilità, cercando di delineare e definire il ruolo dei collaborazionisti italiani in questi piani di reclusione, deportazione e annientamento, con il fine di comprendere e trovare seppur problematiche risposte alla domanda che alleggia, come un inquietante fantasma, nel corso della lettura di tutto il libro: perché ci fu e non fu impedita, anche sul nostro territorio, una Shoah?
Autore: Carlo Greppi
Editore: Feltrinelli, 2016
Pagine: 224
Cosa significa ricordare ai tempi di Google? Che senso ha la Giornata della memoria per i millennials, nauseati dal passato spiegato a scuola, inquietati dal presente, terrorizzati dal futuro? Che valore ha la dimensione storica per un adolescente cresciuto con i social tra i martellanti slogan del life is now?
Il romanzo di Carlo Greppi ci aiuta ad affrontare queste problematiche. Al centro della storia c’è il quasi sedicenne Francesco, ragazzo come tanti, con le sue insicurezze e aspirazioni, coinvolto, suo malgrado, all’arrivo, a gennaio, nella sua Nuova Scuola, nel progetto “per non dimenticare” della sua professoressa di storia, impegnata nel voler fare degli studenti «militanti della memoria». Il previsto viaggio d’istruzione al campo di sterminio di Auschwitz rappresenta il momento più significativo del progetto e l’aspetto formativo cruciale dell’intero racconto. Auschwitz non è solo il luogo storico-geografico della memoria, «il cuore nero del Novecento», ma un gigantesco e inquietante punto interrogativo che mette in moto mente e cuore e costringe il protagonista a porsi domande importanti sul senso della vita. Auschwitz scuote l’inerzia dello spirito passivo, mette sottosopra il mondo pieno di menzogne e fa germogliare il pensiero che s’interroga sul valore delle scelte, sul significato della libertà personale, sul dramma del soffrire, mettendo a nudo tutta la fragilità umana, ma anche il coraggio del comprendere, rievocando. La scuola, con le sue materie, programmi, pratiche, cronologie e lezioni, non serve a nulla se non aiuta gli studenti a diventare esseri umani; così il viaggio per Auschwitz, tanto temuto da Francesco, diventa solo un cominciamento, un punto di partenza per capire che la Storia è fatta da persone come noi e che ci insegna a guardare avanti. Con ritrovata forza e fiducia.