Il giorno in cui Elisa è entrata in classe con un volantino sugli additivi presenti in vari cibi confezionati – merendine e succhi di frutta soprattutto – la professoressa Covaz ha capito che era un’occasione da non sprecare. Da un lato, il tema: il cibo industriale, con i suoi vantaggi ma anche i rischi sempre adombrati ma in fondo poco chiari. Dall’altro, la consapevolezza che se l’argomento su cui lavorare lo porta un compagno, è molto più facile ottenere l’attenzione del resto della classe rispetto a quando lo propone, o impone, l’insegnante. In effetti, la discussione è stata un successo. Per ciascun prodotto, citato con il nome commerciale e l’azienda produttrice, nel volantino erano indicati additivi che sarebbero stati usati per produrlo e che risulterebbero dannosi per la salute. I ragazzi in partenza sono sembrati convinti che il volantino dicesse la verità. Dopo qualche giro di domande e risposte tra loro, e dopo aver saputo come il volantino fosse finito a casa di Elisa casualmente, durante una vendita a domicilio, l’opinione si è ribaltata.
L’esperienza poteva anche finire così, con una spiegazione della professoressa sulla necessità di verificare sempre le informazioni e la loro fonte, e una lezione di chimica. Sarebbe stata comunque una lezione spesa bene per una seconda classe di una scuola secondaria di primo grado. Anna Laura Covaz, professoressa di matematica e scienze, ha deciso però di sfruttare ancora più a fondo l’opportunità offerta da Elisa. L’interesse della classe – una classe un po’ difficile, con molti ragazzi stranieri arrivati da poco e alcuni studenti con problemi di comportamento – è stato forte, sarebbe stato un peccato non dargli un seguito. L’esperienza di Covaz è che «quando i ragazzi fanno le cose per loro stessi, sono subito molto disponibili». Ma non è partita dal nulla: da tempo lavora con il Laboratorio di ricerca educativa e didattica dell’Università Ca’ Foscari di Venezia proprio sui compiti di realtà, sulla loro impostazione e sulla loro valutazione. Tutto insomma l’ha indotta immediatamente a credere che questo fosse un esempio classico del modo in cui si possono stimolare, mettere in azione e alla fine anche valutare le competenze dei ragazzi e la loro capacità di utilizzarle. Così, ha proposto ai suoi studenti di mettersi in gioco, di indagare direttamente, per capire se e quanto fossero corrette o meno le cose scritte sul volantino. La discussione nello spazio di una lezione si è trasformata in un compito di realtà. D’altra parte, gli elementi di un compito di realtà c’erano tutti, dall’aderenza al programma scolastico alla situazione reale e legata alla vita quotidiana degli studenti.
I ragazzi hanno subito indagato via internet. «Meglio fare questa ricerca a scuola», dice Covaz. «Sia per avere un controllo sul modo in cui si svolge e sui risultati che fornisce, sia per evitare che diventi subito forte il divario tecnologico tra quelli che a casa hanno mezzi (e magari anche aiuti) che rendono la navigazione su internet un’esperienza facile e quelli che non hanno questa disponibilità.» Poi però la ricerca si è allargata ed è diventata una ricerca sul campo. Gli studenti hanno preparato delle schede per la rilevazione, come quelle utilizzate da un istituto di statistica, e sono entrati nei supermercati della zona per verificare la presenza sugli scaffali dei prodotti elencati dal volantino e registrare i loro ingredienti.La loro sorpresa è stata grande nello scoprire che alcuni prodotti neppure esistono e che la lista di additivi spesso non corrisponde a quella dichiarata sulla confezione. Ma, soprattutto, hanno organizzato molto bene i risultati della rilevazione, con tabelle e grafici, che sono stati utili sia per trarre le conclusioni, sia per realizzare le presentazioni del proprio lavoro.
Inoltre, hanno deciso di realizzare interviste a persone considerate competenti sull’argomento, come il lattaio, il macellaio e il salumiere e in generale figure che hanno a che fare con l’alimentazione. Le interviste sono state preparate, elaborando una traccia delle domande e organizzando gli incontri. Per i ragazzi un’intervista a un adulto è sempre un’esperienza emozionante, per il ribaltamento dei ruoli che propone rispetto ai rapporti tradizionali. Ma è molto impegnativa anche la fase della sintesi, quando occorre scegliere le parti importanti da utilizzare e il modo di riscriverle. Tutti i colloqui realizzati sono stati rielaborati e discussi. «Certo – sottolinea Covaz – è un peccato che il lavoro sia stato portato avanti come compito legato soltanto all’area di matematica e scienze, perché in realtà sono state coinvolte anche competenze di tecnologia e, ovviamente, molte dell’area lettere, sia durante il lavoro di ricerca che nella fase finale di presentazione dei risultati.»
Quando hanno finito l’indagine, i ragazzi hanno incrociato i risultati della rilevazione sul campo con le informazioni ricavate dal web. E sono stati in grado di stabilire che non tutti i prodotti citati dal volantino esistono davvero, che non sempre contengono le sostanze che erano indicate, e che per tutte le sostanze elencate ed effettivamente riscontrate negli alimenti, la letteratura scientifica è concorde nel considerarle innocue. A una studentessa è venuto anche in mente di scrivere al Centro di ricerca citato dal volantino come fonte delle informazioni. «Per fortuna, la risposta è arrivata a indagine conclusa», racconta Covaz sorridendo, «perché il Centro ha smentito di aver mai fornito quei dati o contribuito a realizzare il volantino. Se la risposta fosse arrivata subito, avrebbe reso inutile tutto il lavoro fatto o ancora da fare. Però mi è piaciuta questa capacità di andare alla fonte dell’informazione, con una verifica approfondita.»
Giunti alle conclusioni, i gruppi degli studenti hanno dovuto decidere come presentarle. Dal poster all’esposizione orale, sono state esplorate varie possibilità. Più di un gruppo ha scelto di realizzare un video, utilizzando anche filmati girati durante la parte d’indagine sul campo e scegliendo di simulare un servizio giornalistico per un telegiornale. I ragazzi si sono ingegnati a superare anche i problemi pratici: alcuni hanno realizzato un “gobbo” fatto in casa, usato durante le riprese video (e scoperto immediatamente dai compagni durante la visione del filmato). «Anche in questo caso», dice la professoressa, «si sente il divario che esiste in termini di possibilità, anche economiche, tra i ragazzi. Ma ovviamente sta a me come docente dare la stessa dignità al lavoro scritto a penna e al video realizzato con una bella telecamera e montato al computer.»
Infine, è arrivato il momento della valutazione. Gestita soprattutto come autovalutazione da parte degli studenti. «Non fanno tutto da soli: io fornisco una scheda di riflessione che serve a mettere prima in ordine le cose che hanno fatto e come le hanno fatte» precisa Covaz, «in più, c’è anche una valutazione incrociata, in cui tutti sono chiamati a esprimersi sui lavori dei compagni.» Un’esperienza che ha consentito di affinare strumenti di valutazione che diventano utili anche per la professoressa. «Mi ha colpito molto, nella valutazione delle immagini e delle loro didascalie, lo schema che mi hanno proposto, sintetizzato così: guardo-leggo-capisco. Un ottimo modo per spiegare quando il lavoro è riuscito oppure no.» In ogni caso, i ragazzi hanno dimostrato di capire e saper valutare davvero quello che hanno fatto. «E a me come docente l’autovalutazione è servita e serve sempre molto», conclude Covaz «per capire che percezione ha di sé ciascun allievo e lavorare su questo».