La fotochimica è la branca della chimica che studia l’interazione fra luce e materia. La storia di questa interazione è la storia stessa del mondo. Da quando, nella tradizione biblica, Dio disse «Sia la luce», la luce ha incominciato a interagire con la materia e a forgiare il mondo. La fotochimica, infatti, prima ancora di essere una branca della scienza moderna, è un importante fenomeno naturale che provvede al mantenimento degli organismi viventi mediante il processo di fotosintesi che avviene nelle piante, sta alla base della formazione e accumulo dei combustibili fossili (carbone, petrolio, metano) e permette di avere informazioni sul mondo che ci circonda (il meccanismo della visione è basato infatti su reazioni fotochimiche). Nelle mani dell’essere umano, la fotochimica è divenuta infine una scienza che ha importanti implicazioni in molti campi, come la riproduzione di immagini, il controllo dei processi di fotodegradazione dei coloranti, delle vernici, delle materie plastiche, e la conversione dell’energia solare in energia chimica o elettrica. La nascita di questa disciplina è avvenuta in Italia nei primi anni del 1900 con gli esperimenti sistematici condotti all’Università di Bologna dal chimico Giacomo Ciamician.
Una nuova dimensione della chimica
Il concetto fondamentale della fotochimica sta nel fatto che l’assorbimento della luce corrisponde alla “cattura” di un fotone da parte di una molecola nel suo stato elettronico fondamentale e causa la formazione di uno stato elettronico eccitato. Quindi, mentre le reazioni chimiche normali (termiche) si originano dallo stato elettronico fondamentale, quelle fotochimiche si originano dagli stati elettronici eccitati. Ogni stato elettronico eccitato ha sue specifiche caratteristiche chimico-fisiche e, pertanto, va considerato come una nuova specie chimica rispetto allo stato fondamentale dal quale deriva. La fotochimica può così essere vista come una nuova dimensione della chimica.Gli stati elettronici eccitati sono specie a vita molto breve, usualmente dell’ordine dei microsecondi (10-6 s), nanosecondi (10-9 s) o picosecondi (10-12 s) e scompaiono essenzialmente attraverso reazioni chimiche, emissione di luce e disattivazioni non radiative. Questi tre tipi di processi sono in competizione e il prevalere di uno sull’altro dipende dal tipo di molecola, dal tipo di stato eccitato e dalle condizioni sperimentali. È ovvio che, dato il tempo di vita così breve, l’osservazione diretta degli stati eccitati richiede l’uso di tecniche estremamente veloci, basate sull’impiego di laser come sorgenti pulsate.
L’interazione fra luce e materia può essere utilizzata per ottenere energia o per elaborare informazioni. Questo è esattamente quanto avviene in natura, dove la luce solare viene utilizzata nel processo di fotosintesi per ottenere i prodotti dell’agricoltura e nei processi collegati alla visione per ottenere informazioni sul mondo che ci circonda. Con processi fotochimici artificiali, basati su materia non vivente, gli scienziati si propongono di utilizzare il duplice aspetto energetico e informatico della luce: da un lato per produrre, mediante la luce solare, energia elettrica o combustibili, dall’altro per costruire sensori o processori di segnali.
La più grande industria sulla Terra è, paradossalmente, l’agricoltura. Infatti, grazie al processo della fotosintesi, le piante si comportano come vere e proprie “fabbriche” chimiche nelle quali materie prime facilmente reperibili e di basso costo (acqua e biossido di carbonio) sono trasformate, mediante reazioni fotochimiche, in ossigeno e prodotti organici di grande pregio e ad alto contenuto energetico (come gli zuccheri) che possono essere definiti “combustibili”. L’agricoltura, quindi, è un’industria del tutto speciale: invece di consumare combustibili, li produce, utilizzando la luce del sole, fonte energetica gratuita e inesauribile.
La fotosintesi opera in natura da almeno due miliardi di anni e, oltre a mantenere la vita sulla Terra, ha permesso l’accumulo, nelle ere geologiche, di enormi riserve di petrolio, gas naturale e carbone che l’uomo consuma con avidità e che vanno rapidamente esaurendosi. Un logico tentativo di soluzione del problema energetico è cercare di utilizzare in modo più efficiente l’enorme quantità di energia luminosa che viene dal sole. Migliorare ed estendere l’agricoltura è certamente utile, ma non può che rappresentare una soluzione molto parziale: l’agricoltura, infatti, è efficiente solo dove c’è terra buona e clima adatto, necessita inoltre di fertilizzanti e richiede molto lavoro manuale o meccanico. Per utilizzare appieno l’energia solare bisogna quindi trovare altre soluzioni.
La vita di ogni giorno ci dimostra che l’energia è maggiormente utile all’uomo quando si presenta in forma concentrata, immagazzinabile e trasportabile. L’energia solare, per contro, è una forma di energia a bassa densità, non trasportabile, non immagazzinabile e intermittente. Per utilizzarla proficuamente è quindi necessario convertirla in altre forme di energia.
I quattro metodi fondamentali per convertire l’energia solare sono: 1) conversione in calore a bassa temperatura, che si può compiere molto facilmente, per esempio scaldando con i raggi solari un liquido contenuto in un recipiente; 2) conversione in calore ad alta temperatura, che richiede la concentrazione dei raggi solari, mediante un campo di specchi, su una caldaia dove un liquido viene portato all’ebollizione; 3) conversione in energia elettrica, che ha portato allo sviluppo delle celle solari, attualmente usate per applicazioni in luoghi isolati o che necessitano di piccole quantità di energia; 4) conversione in energia chimica (combustibili), che si ottiene mediante reazioni fotochimiche come accade nel processo fotosintetico naturale.
Tutti questi metodi possono essere utili, ma è interessante sottolineare alcune caratteristiche che li diversificano. Il calore a bassa temperatura non è una forma concentrata di energia e non può essere né immagazzinato né trasportato; può servire per scaldare acqua a uso domestico e per poco altro. Il calore ad alta temperatura è una forma di energia concentrata più utile della precedente in quanto si può convertire facilmente in energia meccanica, ma non può essere né immagazzinato né trasportato. L’energia elettrica è una forma di energia ad alto pregio, concentrata e trasportabile, ma non immagazzinabile. L’energia chimica (combustibili), infine, è la forma più utile di energia; è, infatti, molto concentrata, facilmente trasportabile e altrettanto facilmente immagazzinabile. Il metodo della conversione fotochimica è quindi, in linea di principio, quello più interessante per utilizzare l’energia solare. Come abbiamo visto è proprio questo metodo che la natura ha scelto nell’evoluzione per sostenere la vita e che ha permesso l’accumulo dei combustibili fossili nel corso delle ere geologiche. Abbiamo visto, però, che il processo fotosintetico naturale non è più sufficiente a soddisfare i bisogni energetici dell’umanità. Viene allora spontanea una domanda: è possibile inventare una fotosintesi artificiale, più efficiente e più semplice della fotosintesi naturale, per produrre combustibili utilizzando l’energia solare? Molti scienziati pensano che a questa domanda sia ormai possibile dare una risposta affermativa.
Lo studio della fotosintesi naturale ha fatto capire che un sistema fotosintetico artificiale, per funzionare, deve rispondere a requisiti ben precisi; in particolare occorre scegliere molecole con specifiche proprietà e occorre assemblare tali molecole secondo una perfetta organizzazione nelle dimensioni dello spazio (distanza fra le molecole), del tempo (alcune reazioni devono essere molto più veloci di altre e devono avvenire in tempi estremamente brevi), e dell’energia (ogni stadio del processo può avvenire solo se viene utilizzata una parte dell’energia fornita dai fotoni).
Carpiti questi segreti al processo fotosintetico naturale, gli scienziati sono ora al lavoro per creare sistemi fotosintetici artificiali. Il metodo consiste nel sintetizzare molecole capaci, ciascuna, di compiere una funzione specifica (assorbire la luce, trasferire energia, trasferire un elettrone ecc.) e poi nel collegarle secondo una sequenza opportuna. Il processo che si cerca di ottenere è la scissione dell’acqua in idrogeno e ossigeno mediante la luce solare, un processo che risolverebbe contemporaneamente il problema energetico (l’idrogeno è un ottimo combustibile) e il problema ambientale (la combustione dell’idrogeno con l’ossigeno produce solo acqua). Gli studi più recenti hanno dimostrato che per ottenere tale processo è necessario un sistema costituito da vari elementi e in particolare: un composto supramolecolare (antenna) capace di assorbire la luce solare e di convogliare l’energia elettronica risultante in un centro di reazione, dove l’energia viene utilizzata per provocare una separazione di carica, cioè per creare un sito ossidante e un sito riducente che, separati da una membrana e in presenza di due specifici catalizzatori, sono in grado rispettivamente di ossidare e ridurre l’acqua, producendo ossigeno e idrogeno molecolare. Le ricerche su sistemi artificiali capaci di svolgere le funzioni di antenne e di centri di reazione sono a uno stadio avanzato, mentre quelle sulle membrane e i catalizzatori sono ancora poco sviluppate.