Lo sport come scuola di vita per il cristiano

Se lo sport non è scuola di vita e non è solidarietà, non serve a niente” (Gino Bartali).

Lo sport insegna. Questa è una verità che chiunque abbia praticato almeno una disciplina sportiva è portato a confermare. Educazione e sport formano un connubio inscindibile e attraverso le diverse attività è possibile apprendere una serie di valori indispensabili per la crescita personale e collettiva. La dimensione educativa dello sport è sia trasversale che verticale.
Trasversale, perché ogni attività consente di portare a casa un bagaglio di insegnamenti;Verticale, poiché ogni disciplina ha le sue peculiarità e consente di apprendere principi differenti.

1. Il valore formativo dello sport per il cristiano

Lo sport accompagna la storia dell'uomo fin dai tempi antichi. La Chiesa ha riconosciuto il valore salutare e formativo dell'attività sportiva: basta pensare agli oratori che fin dalla loro origine, grazie all'intuizione di S. Giovanni Bosco, hanno valorizzato i momenti di gioco e di attività fisica. Come ha sintetizzato papa Francesco: "Il motto olimpico, più in alto, più veloce, più forte, è un invito a sviluppare i talenti che Dio ci ha dato". Lo sport è sempre al passo con i tempi, come possiamo vedere in seguito alla pandemia. Per un certo periodo di tempo si è gareggiato in assenza di pubblico. Con il migliorare della situazione gli stadi hanno iniziato ad accogliere una certa percentuale di pubblico. 

Lo sport, quindi, fa bene alla salute, ci fa comprendere la necessità delle regole e l'importanza di fare squadra, ma esso ha anche un ruolo importante e particolare per quanto riguarda il tema dell'inclusione sociale, cioè non escludere o lasciare indietro nessuno. Lo sport consente a molte persone di umili origini di guadagnarsi da vivere, ma è anche un mezzo importante per superare le barriere e le differenze: basta pensare ai giochi di squadra, dove è necessario che i diversi giocatori abbiano anche caratteristiche individuali, speciali, che contribuiscono tutte all'obiettivo comune. Da qualche decennio lo sport femminile è in crescita, ed è sempre più importante il movimento degli sport paraolimpici, che consentono anche a chi ha una disabilità di divertirsi e competere con gli altri. Lo sport, in definitiva, si rivela perciò utilissimo soprattutto, per la sua capacità di unire persone in apparenza diverse e di sfatare i pregiudizi.

Quando si sceglie un’attività, soprattutto in tenera età, si comincia un lavoro che impegna non solo il fisico, ma anche la mente. Migliora quella che è la conoscenza di noi stessi, così come quella del gruppo. Aiuta a superare limiti legati non solo all’ambiente sportivo ma anche alla sfera interpersonale. Ed è proprio il modo in cui lo sport ci sprona a superare questi limiti che insegna e plasma il carattere.

Ogni sportivo si è confrontato con la sconfitta, con l’idea di non essere il migliore. Questo è uno dei primi, fondamentali insegnamenti dello sport e porta con sé l’umiltà e la determinazione a dare il massimo. Oltre ad accettare la sconfitta, lo sport aiuta a comprendere il duro lavoro, la costanza e la passione. Attraverso l’impegno è possibile raggiungere e superare traguardi importanti e questo trasforma una semplice attività sportiva in una vera e propria fonte d’ispirazione. Allo stesso tempo, ogni disciplina ha le sue regole e saper giocare all’interno di queste aiuta a crescere con giudizio.  

Per ogni giovane atleta, lo sport diventa un’esperienza chiave nella crescita, capace di trasformare in persone migliori.Spronare i giovani a fare sport è sempre una scelta saggia. Il valore educativo delle discipline sportive si traduce nel porre le basi per una società più onesta, sana e serena. Attraverso la formazione dei giovani in ambito sportivo si possono insegnare valori che faranno veramente la differenza nelle generazioni di domani. L’importanza del fair play durante le competizioni sportive è un chiaro esempio di valore aggiunto in un giovane membro della società, se si fa un parallelismo con la moralità della vita civile.

L’aspetto dello sport che più di tutti aiuta la crescita degli atleti, è la sua dimensione ludica. La consapevolezza che lo sport è “un gioco” e che allo stesso tempo “non è solo un gioco”, aiuta a riscoprire i valori della condivisione e della socialità. Dal momento che si tratta di competizione, vengono esaltati anche valori quali il rispetto delle regole, dell’etica della disciplina, il sacrificio e la dedizione. Una compagine di valori che mettono in risalto non solo la grandezza dell’atleta, ma anche quella dell’uomo.Ogni sport regala insegnamenti importanti e l’aspetto ludico aiuta ad assimilarli in maniera naturale. Uno dei driver principali per i giovani rispetto allo sport è senza dubbio il voler condividere e raggiungere gli obiettivi con i compagni. Si creano forti legami in una squadra e spesso anche con gli avversari. Gli obiettivi prefissati si raggiungono grazie all’impegno e alla fiducia, in se stessi e nei compagni. Per questo prendere parte ad una competizione vuol dire “mettere in campo” valori che altrimenti rischiano di non essere considerati affatto. Mettersi in gioco vuol dire vivere un’esperienza stimolante. Sconfitta o vittoria sono maestri in egual misura, poiché è il gioco in sé a insegnare. Crescere, educare, formare i giovani ispirati da tali valori produce grandi frutti, dentro e fuori dal campo.

2. Il fair play

Il fair play (“gioco corretto”) è molto più che giocare lealmente. Esso comprende una serie di regole dettate da un codice di comportamento che mette al primo posto il rispetto di sé stessi, degli altri e delle regole, oltre agli ideali dell’amicizia e dello spirito sportivo. Il rispetto di sé stessi si esprime nell’impegno e nella cura del proprio lavoro, nell’autodisciplina, nel coraggio nell’affrontare le difficoltà, nella capacità di misurare il rischio. Il rispetto degli altri si manifesta nell’attenzione ai compagni e agli avversari, nel controllo delle proprie azioni in modo da non mettere a rischio la sicurezza degli altri, nella disponibilità al dialogo e ad accettare le regole del gruppo, nel rispetto delle diversità (sociale, morfologica e di svantaggio). 

Il rispetto delle regole nasce quando si capisce che la regola è necessaria: se ognuno giocasse secondo le proprie regole, ne nascerebbe una grande confusione. Giocare correttamente non è facile quando gli altri non lo fanno, tuttavia il proprio comportamento può essere di esempio e indurre anche compagni e avversari ad attenersi alle regole. In ogni caso si è responsabili solo del proprio modo di agire, non di quello degli altri. Il rapporto di confidenza e familiarità, che è alla base dell’amicizia, è fondato sui valori della stima, della lealtà, della fratellanza, della condivisione e della solidarietà, gli stessi che permeano il concetto di fair play. Chi, avendo fatto propri i principi del fair play, pratica sport in modo disinteressato e con passione, seguendo i consigli di insegnanti e allenatori, esalta lo spirito sportivo, lo stesso che riesce a esprimere nella sua vita comportandosi con lealtà in qualsiasi circostanza.

Giocare per divertirsi. Lo sport è un’occupazione piacevole, ma non disimpegnata. La felicità risiede nell’impegno che ciascuno profonde, nella ricerca del confronto e del miglioramento personale. Il divertimento non deriva dal risultato ottenuto, bensì da come questo è maturato e dalla consapevolezza di aver fatto del proprio meglio. Giocare con lealtà. È leale una persona che per scelta obbedisce ai valori di correttezza e sincerità anche in situazioni difficili, comportandosi coerentemente a un codice prestabilito e rispettando e mettendo in pratica gli ideali in cui crede. 

Rispettare le regole del gioco. Le regole servono per rendere il gioco leale. Anche se non sono sempre perfette, quando tutti le accettano e le seguono giocare è più divertente e si possono prevenire molti incidenti dovuti al mancato rispetto delle norme di sicurezza e a comportamenti pericolosi. Le regole aiutano poi arbitri e giocatori: se il gioco si svolge in modo corretto e sicuro, le persone eviteranno di arrabbiarsi e di perdere il controllo. Rispettare i compagni di squadra, gli avversari, gli arbitri e gli spettatori. Il rispetto è il sentimento che deve guidare il comportamento fra compagni di squadra. Dev’essere improntato al riconoscimento dei meriti altrui e si manifesta complimentandosi nel caso di una buona azione, rincuorando nel caso di esito negativo, sapendosi scusare. L’avversario non va visto come un nemico, ma come un’opportunità per poter mettere in gioco tutte le proprie risorse fisiche, tecniche e morali. 

Lo “scontro” deve essere limitato al tempo e allo spazio della competizione. Le buone giocate e le buone prestazioni degli avversari vanno riconosciute e in caso di vittoria si festeggia con moderazione, evitando di mettere in ridicolo chi ha perso. Arbitri e giudici svolgono un compito difficile e ingrato: devono prendere decisioni. Quando lo fanno, i giocatori devono accettarle. Non bisogna mai dimenticare che giudici e arbitri sono persone come le altre che, per quanto si impegnino, commettono errori, così come tutti ne fanno praticando sport. Nel corso della gara gli errori si compenseranno: qualche volta sarà fischiato un fallo contro, altre volte a favore. Se non c’è un arbitro, i giocatori devono imparare ad accordarsi per evitare litigi. Accettare la sconfitta con dignità Quando si perde bisogna saper riconoscere con onestà la superiorità dell’avversario. Se dalle sconfitte s’impara l’arte di vincere, non bisogna aver paura dell’insuccesso perché è una tappa inevitabile. È triste vedere atleti, anche affermati, che reagiscono alla sconfitta con rabbia, comportamenti antisportivi, negando le proprie responsabilità e cercando invece di riversarle su altri. Rifiutare il doping, il razzismo, la violenza e la corruzione. Non è accettabile per uno sportivo fare ricorso a sostanze o metodi capaci di modificare le condizioni psicofisiche dell’organismo per migliorare le prestazioni. 

Oltre che illecito, tale comportamento è contrario all’etica sportiva. Uno sportivo non può che rifiutare il razzismo, poiché lo stesso sport è esaltazione delle diversità: talenti, abilità, stili, caratteri. Non è accettabile alcuna forma di violenza: durante l’attività uno sportivo non mette a rischio l’integrità fisica dell’avversario, non lo aggredisce neppure verbalmente, e questo riguarda anche i tifosi, che devono sostenere i propri beniamini e non inveire contro gli avversari o l’arbitro. Essere generosi verso il prossimo e soprattutto verso i più bisognosi. Un esempio vale più di molte parole: nel 1988, alle Olimpiadi di Seul, durante una regata il velista canadese Lawrence Lemieux, che in quel momento si trovava al secondo posto, essendosi accorto che un velista di Singapore era caduto in acqua infortunandosi seriamente e non era in grado di risalire sulla propria imbarcazione, deviò dal proprio percorso, lo assistette e solo dopo l’intervento della squadra di soccorso riprese la regata. 

Aiutare gli altri a resistere nelle difficoltà. È una forma di altruismo: quando si infonde coraggio e si testimonia la propria vicinanza a chi si trova in un momento difficile, lo si aiuta a trovare le risorse per proseguire nello sforzo. Uno sportivo può attraversare momenti di scoraggiamento, sia durante la preparazione che durante una gara: in questi casi è importante per lui trovare qualcuno che gli dimostri, con piccoli gesti o parole adatte, la sua vicinanza e lo spinga a superare i periodi di crisi. Denunciare coloro che tentano di screditare lo sport. Si può screditare lo sport in molti modi e per nessuna ragione ciò deve essere consentito. Imbrogli, illeciti, frodi, corruzioni sono solo alcune delle situazioni che, violando il principio di lealtà, vanno assolutamente denunciate. Onorare coloro che difendono lo spirito olimpico dello sport. Il principale sostenitore dello spirito olimpico fu il barone francese Pierre de Coubertin, il fondatore delle Olimpiadi moderne, che considerò sempre lo sport un ineguagliabile mezzo di educazione. Secondo la sua visione lo sport sarebbe stato non solo il mezzo più comodo, rapido ed efficiente per formare un individuo, ma anche il veicolo più diretto di comunicazione, comprensione e pacificazione tra i popoli. Fra le sue citazioni più note: “La cosa importante nella vita non è la vittoria, ma il lottare; non è aver sconfitto, ma aver combattuto bene. Col diffondere questi principi noi prepareremo un’umanità più coraggiosa, più forte, più scrupolosa e più generosa”. Se tutti facessero propri questi ideali, il mondo sarebbe migliore! Questi sono principi validi in tutti i tempi e in tutto il mondo e per qualsiasi sportivo, che sia atleta, arbitro, allenatore, genitore o spettatore.

3. Esempi di sportivi

Daniele Cassioli

"Sono nato cieco, a Roma, il 15 agosto 1986. La mia passione per lo sport arriva molto presto. All’età di tre anni inizio a praticare nuoto e successivamente karate. Nel 1994 la mia prima esperienza sugli sci insieme al Gruppo Verbanese Sciatori Ciechi che per me continua ad essere una magnifica palestra di vita. Nell’estate del 1995 comincio la mia avventura con lo sci nautico, nella categoria V1 Vision Impaired. A soli 10 anni entro a far parte della squadra nazionale italiana paralimpica di sci nautico e dal 1998 partecipo a gare internazionali. Al mio esordio agli Europei in Giordania, proprio nel ’98, conquisto nello slalom la medaglia d’argento, a cui sono seguiti tanti altri successi. Ad oggi ho vinto 25 titoli mondiali, 25 europei e 41 italiani e detengo i record del mondo delle tre discipline in cui gareggio: slalom, figure e salto. Dal 2021 sono membro della giunta nazionale del CIP (Comitato Italiano Paralimpico) come Rappresentante degli Atleti. Tratto lo sport come un amico, come se esistesse in carne ed ossa. Un amico importante, che stimo e a cui sono grato. Insieme ai miei genitori, è stato il primo a trattarmi come “Daniele che sa fare” e non come Daniele che non sa vedere. Per questo motivo, nel mio libro “Il vento contro” ho inserito una vera e propria lettera d’amore allo sport. Crescendo mi sono reso conto che la mia storia poteva essere da stimolo per altre persone. Tutti gli sport dimostrano che quando si decide di mettersi in gioco, al di là del risultato, non si perde mai. Lo sport è quel pezzo di strada che c’è tra noi e la felicità. Proprio per questo, all’attività di atleta recentemente gratificata con la più alta onorificenza in Italia da parte del Comitato paralimpico ovvero il Collare D’oro, voglio crescere come dirigente sportivo per restituire ciò che dallo sport ho imparato. Sono nel consiglio nazionale del Cip e ho fondato da poco la Real Eyes Sport A.S.D., un’associazione che ha come mission quella di avvicinare i non vedenti alla pratica sportiva. L’infortunio alla spalla del marzo 2016 ha rappresentato un brusco stop per la mia vita da sciatore, ma è stata anche l’occasione per dedicarmi ad altre attività: oltre a quella con i bambini, mi sono avvicinato alla scrittura. Sono riuscito a mettere nero su bianco la mia storia, parlando della cecità ad un pubblico più ampio partendo dallo sport, un’attività che unisce tutti. Così è nato Il Vento Contro, il mio primo romanzo edito da De Agostini, che tratta, dal mio punto di vista, temi quotidiani: dalla vita di coppia alla paura di non essere all’altezza. Grazie al tour di presentazione del romanzo ho avuto l’occasione di incontrare la cittadinanza, i ragazzi delle scuole e di avvicinarmi alle aziende per lavorare insieme durante le convention o in laboratori personalizzati di team building sui temi come motivazione, collaborazione, leadership, consapevolezza, atteggiamento positivo e fiducia. Il mio percorso da studente l’ho vissuto in tutto e per tutto da ragazzo normale: prima il diploma al liceo classico, poi la laurea in fisioterapia, un corso da osteopata e tanti anni in ambulatorio come libero professionista. Da qualche tempo ho capito che forse sono venuto al mondo per fare altro e quindi mi dedico alla formazione nelle aziende e non solo e all’avviamento allo sport dei bambini con disabilità visiva. Non rinnego il passato da fisioterapista che tanto mi ha dato nei 10 anni in cui ho esercitato anzi ringrazio quasi quotidianamente il valore aggiunto che mi ha portato questa professione straordinaria. Semplicemente ho voltato pagina, una delle cose più belle che possiamo fare nella vita è proprio la scelta di poter riscrivere la nostra storia anche quando siamo adulti".

Alex Zanardi

La vita è sempre degna di essere vissuta e lo sport dà possibili incredibili per migliorare il proprio quotidiano e ritrovare motivazioni”.

È l’esempio concreto di chi, tramite lo sport, è riuscito a superare un trauma pazzesco come la perdita di entrambe le gambe. La storia la conosciamo purtroppo tutti: per un grave incidente automobilistico del Lausitzring che gli causò l’amputazione delle gambe, Zanardi venne sottoposto a decine e decine di interventi chirurgici prima di poter ricominciare a sperare di poter avere un futuro. Ma immaginate come deve essere, da un giorno all’altro, non poter più contare sulle vostre gambe. Zanardi però ha sempre avuto un atteggiamento positivo nei confronti della vita, ha scherzato sull’incidente e dopo poco tempo è tornato in pista. Ma non basta, Alex ha deciso di partecipare a svariate manifestazioni sportive per atleti disabili, specializzandosi nel paraciclismo. Ha vinto molte medaglie, compreso l’oro ai giochi paralimpici.

Beatrice Vio

Ho sempre saputo che avrei potuto ricominciare a fare scherma. Quando l’ho chiesto ai medici mi hanno, diciamo, sputato in un occhio. Quando l’ho chiesto a quelli delle protesi, si sono messi a ridere. Però io fin da subito ho capito che sarei riuscita a ritornare”.

Classe 1997, Beatrice è una di quelle ragazze che ha un sorriso talmente disarmante che ci si chiede come faccia. La sua storia è conosciuta: all’età di 11 anni venne colpita da una meningite gravissima che le causò un’infezione e la necrosi di avambracci e gambe. All’ospedale le dissero che c’era un’unica soluzione: amputare. E così Bebe Vio ha perso le braccia e le gambe per una malattia quando era ancora una bambina. Ma la forza d’animo, la voglia di vivere normale e la volontà di tornare a fare sport hanno avuto la meglio. Nulla era impossibile e solo dopo un anno dalla malattia Bebe Vio aveva una protesi speciale che le permetteva di tenere il fioretto in mano. Così è tornata a fare sport, Bebe ha ripreso la sua vita e ha deciso di trasmettere a tutti questa sua forza diventando oltre che campionessa mondiale e paralimpica anche una testimonial per le campagne di vaccinazione contro la meningite e per l’importanza dello sport come strumento per una rinascita.

Monica Boggioni

Nella vita ti diranno che non ce la farai, tu rispondi : Guarda come si fa”.

Altra atleta giovanissima da cui prendere esempio? Monica. Classe 1998 è affetta da una sofferenza cerebrale con una diplegia spastica degli arti inferiori. Gliela diagnosticano da piccola. Quando aveva solo due anni. Un dolore enorme, per lei che si sentiva impossibilitata a fare tutto ciò che avrebbe voluto, e per i genitori. Come si supera? Come fare a far star meglio Monica? A queste domande risposero i medici che consigliarono alla famiglia di farle fare nuoto. E così Monica si tuffa in vasca e non ne esce più fin quando non ottiene il titolo di campionessa italiana assoluta nei 50 farfalla, 100 e 400 stile libero. Nel 2016 la sua patologia pare peggiorare, ma un anno dopo, nel 2017, stabilisce il record del mondo nei 50 rana, 50 dorso e 200 stile. Nessuno stop, nessun rallentamento nella vita di Monica nonostante tutto.

Gino Bartali

Se lo sport non è scuola di vita e non è solidarietà, non serve a niente”.

Gino Bartali è conosciuto soprattutto per la sua carriera da ciclista professionista sviluppatasi dal 1934 al 1954, anni nei quali vinse tre Giri d’Italia (1936, 1937, 1946) e due Tour de France (1938, 1948), oltre a numerose altre corse.

Il rapporto stretto e leale con Fausto Coppi, con il quale accese anche epici duelli sportivi che divisero l’Italia nell’immediato dopoguerra, sono entrati prima nella storia e poi nella leggenda del ciclismo internazionale.
Nonostante la sua carriera sportiva fu notevolmente condizionata dalla seconda guerra mondiale, sopraggiunta proprio nei suoi anni migliori, dimostra il suo straordinario valore umano proprio nel terribile conflitto.Seppure ci si riferisce a circostanze di cui lui stesso non amava parlare, risulta che Bartali, fra il settembre 1943 e il giugno 1944 si sia adoperato in favore dei rifugiati ebrei a sostegno di una rete di laici e religiosi tesa alla difesa della vita.

Risultano numerosi i viaggi in bicicletta dalla stazione di Terontola-Cortona fino ad Assisi, per trasportare documenti e fototessere nascosti nel telaio, affinché una stamperia segreta potesse produrre atti necessari alla fuga di ebrei rifugiati.
Questa attività di straordinaria carità cristiana ha messo più volte a rischio la sua incolumità e la sua libertà.

Stefano Borgonovo

La vita va vissuta, anche per chi, come me, la vive in orizzontale”.

Le maglie più prestigiose indossate sono senza dubbio quella del Milan e quella della Nazionale italiana, la prima quella del Como, quella più amata probabilmente quella viola della Fiorentina, ma ancora le casacche di Sambenedettese, Pescara, Udinese e Brescia hanno regalato a Stefano Borgonovo l’emozione di 15 stagioni di calcio ai massimi livelli in Italia ma anche, nel periodo in rossonero, in Europa e nel mondo.

Nella Fiorentina è vincente l’accoppiata con Roberto Baggio con il quale formava la l’attacco soprannominato “B2” ma con il Milan, nella Coppa Campioni del 1990, tornando in campo dopo una lunga convalescenza, si rivela fondamentale proprio nelle due partite di semifinale contro il Bayern Monaco: all’andata il Milan passa in casa per 1-0 con un rigore di Marco van Basten fischiato per un fallo su Stefano, al ritorno Borgonovo segna il gol in trasferta che, nonostante la sconfitta per 2-1, spinge il Milan verso la finale poi vinta, al Camp Nou, sullo Steaua.
Bayern-Milan del 4 aprile 1990 è ritenuta, dai cultori del calcio, la partita più importante giocata dall’attaccante brianzolo, ma la partita più importante della sua vita Stefano la sta giocando dal 2005 quando una terribile malattia, la Sclerosi Laterale Amiotrofica, comincia a privarlo rapidamente della voce, per poi rubargli la funzione degli arti e del corpo intero, ma non dell’anima.

Stefano Borgonovo è un uomo che qualcuno definirebbe “prigioniero del suo corpo immobile” ma una definizione che da un quadro davvero poco adeguato per descrivere una persona che ogni giorno, da vero sportivo, guarda al futuro con ottimismo, lotta per l’amore della vita.
Un amore che Stefano comunica attraverso un sistema oculare che gli permette di parlare, con una voce artificiale.

E Stefano comunica la speranza, come in una intervista prepartita, dove dalle parole si evince il desiderio di vincere. Come quando gli hanno chiesto se voleva essere ventilato, se voleva vivere, ma vivere tutta la sua vita attaccato ad una macchina. “Se è si chiudi gli occhi” gli chiesero e Stefano non ha esitato, in un “si!” convinto che lo tiene, più determinato che mai attaccato alla vita, alla moglie, ai suoi quattro figli.
Nel 2008 Stefano, uomo simbolo di una speranza che non muore mai, decide di utilizzare la sua immagine pubblica per promuovere iniziative di raccolta fondi e, con la sua famiglia, ha dato vita alla Fondazione Stefano Borgonovo Onlus, che sostiene la ricerca per vincere la SLA.

Pietro Mennea

“Esiste un solo modo per sapere se si vincerà o si perderà: provarci”.