Il filosofo tedesco Leibniz (1646-1716) – sulla scia del razionalismo di Cartesio (la conoscenza è soprattutto una costruzione razionale) e contro l’idea di John Locke (il filosofo inglese sostenitore dell’empirismo, secondo cui la conoscenza umana deriva esclusivamente dai sensi o dall’esperienza) – nei Nuovi saggi sull’intelletto umano, afferma che le verità di ragione, in quanto assolutamente necessarie, non possono derivare dall’esperienza, e dunque sono innate.Inoltre, poiché la monade è un’entità “senza finestre”, dovranno essere innate anche le verità di fatto e le sensazioni (innatismo totale).
Tutto ciò che è innato, tuttavia, per Leibniz è presente alla mente non in modo attuale, bensì potenziale, cioè sotto forma di possibilità o tendenza, ovvero di «piccole percezioni» o percezioni confuse, che possono essere trasformate in percezioni chiare (innatismo virtuale), nel senso che la mente ha la capacità o la possibilità di scoprire nozioni che non si fondono sull’esperienza. Per Leibniz hanno dunque ragione gli empiristi, quando affermano che «nell’intelletto non c’è nulla che prima non fosse nei sensi» («Nihil est in intellectu quod non fuerit in sensu»), sebbene a questa affermazione si debba aggiungere: «ad eccezione dell’intelletto stesso» («excipe: nise ipse intellectus»).
Anticipando dunque, in un certo modo, la filosofia trascendentale di Immanuel Kant, Leibniz afferma che l’intelletto (o anima) dispone di “categorie” proprie pure (che prescindono dai sensi), fino ad arrivare alla concezione di un innatismo totale. Esso però può presentarsi alla mente in modo potenziale, cioè sotto forma di possibilità, percezioni che provengono dall’anima in modo confuso e che devono essere chiarificate: questa è la sua teoria dell’innatismo virtuale. Per renderla ancora più comprensibile, lo stesso Leibniz ricorre a un semplice esempio: l’anima è simile a un blocco di marmo in cui sono già impresse le venature della futura statua che si vuole creare; sarà poi la bravura dell’artista a eliminare il marmo superfluo e far apparire la figura.
Così l’anima ricava da se stessa le idee (la statua), portando alla luce mediante la riflessione (i colpi di scalpello) e rendendo attuali le rappresentazioni e i concetti che già possiede (le venature del marmo).