Giambattista Vico

La Scienza nuova è l’opera principale di Giambattista Vico (1668-1744). È l’opera in cui è esposto il suo pensiero.

Giambattista Vico cominciò a lavorare alla Scienza nuova nel 1723 e continuò a farlo per oltre vent’anni sino alla morte. Le tre redazioni dell’opera uscirono nel 1725, nel 1730 e nel 1744.La Scienza nuova di Vico è un’opera assai ricca e complessa, perciò ci limiteremo a segnalare alcuni fra i concetti essenziali.
Dei cinque libri, in cui si divide l’opera, il primo – intitolato Dello stabilimento de’ principi – dove è condensato il contenuto della Scienza nuova, ha un fondamentale valore metodologico. Vico vi propone una serie di assiomi (definiti anche «degnità», in quanto verità “degne” di essere accettate da tutti perché autoevidenti), ossia principi generali che costituiscono le premesse di tutta la trattazione.

In una delle degnità il Vico definisce i due principali strumenti del sapere umano, la filologia e la filosofia.Per Vico la filologia si identifica con la conoscenza dei fatti concreti, ossia con la «coscienza del certo».

La filosofia invece si configura come una «scienza del vero», intesa a «contemplare la ragione», a riconoscere il «vero» entro la vasta fenomenologia del reale. Filologia e filosofia sono per il Vico inseparabili. L’una senza l’altra risultano insufficienti ed arbitrarie. La filologia senza la filosofia rimane infatti sul piano di un accertamento erudito dei fatti; la filosofia senza la filologia, cioè senza il fondamento dei fatti, del «certo», rimane invece su un piano di astrazione.La reintegrazione di filologia, coscienza del certo, e filosofia, scienza del vero, costituisce la base fondamentale del metodo della Scienza nuova.

Ripercorrere il passato alla luce di questo metodo significa riconoscere nel «certo» dei documenti (anche dei tempi più remoti) il «vero», ossia le ragioni e i modi dello svolgimento della civiltà.La storia si configura agli occhi di G. Vico come un organismo vivente; l’umanità appare simile all’uomo nel suo svolgersi dall’infanzia alla maturità. Il corso dell’umanità perciò viene scandito da tre momenti fondamentali corrispondenti a tre distinti stadi della civiltà.

I tre stadi della civiltà

  • nel primo, corrispondente all’infanzia, l’uomo, in una condizione di barbarie, vive in base all’istinto e al senso;
  • nello stadio della fanciullezza, il secondo, l’uomo, liberato dalla sua animalità, vede la realtà attraverso la fantasia;
  • nel terzo, corrispondente alla maturità, l’uomo perviene a una cognizione razionale delle cose.

A questi tre stadi della civiltà corrispondono tre differenti età:

  • età degli dei, contrassegnata dalle credenze religiose: gli uomini primitivi cominciarono ad uscire dalla loro insensata animalità quando, spaventati dalle forze naturali, videro in esse e adorarono la divinità;
  • l’età degli eroi, animata dalla fantasia e dominata dall’uso della forza;
  • età degli uomini, caratterizzata dalla razionalità e dal diritto.

Come l’uomo si evolve dall’infanzia alla maturità per poi decadere e perire, così le nazioni, secondo il Vico, si evolvono dalla iniziale barbarie alla pura razionalità, per poi corrompersi e decadere, tornando in un nuovo stato di barbarie, da cui poi via via riprendono il corso evolutivo. La storia si prospetta così come una serie di «corsi» e «ricorsi».Nella Scienza nuova Giambattista Vico ha dato grande spazio allo studio del linguaggio poetico.

Secondo il Vico la poesia è un prodotto della fantasia: quando l’uomo, uscito dall’iniziale bestialità, cominciò a guardarsi intorno, scoprì via via il mondo con lo stupore e la meraviglia di un fanciullo. Con la sua «robustissima fantasia» egli personificò le cose e i fenomeni naturali, popolò il mondo circostante di divinità, tradusse in miti le sue passioni e le sue sensazioni. La poesia fu così creazione spontanea della fantasia; e creazione spontanea della fantasia fu il linguaggio poetico, naturalmente simbolico e metaforico.

In tal modo G. Vico propone una concezione della poesia, della sua genesi e dei suoi caratteri, in netta opposizione alla tendenza razionalistica del secolo (Illuminismo). Le favole dei poeti, secondo il Vico, non sono dilettose invenzioni, bensì «vere narrazioni» nelle  quali i poeti traducono la loro visione commossa e grandiosa della realtà.

Di conseguenza la poesia assume per Vico un duplice interesse: per il suo valore intrinseco e per il suo valore di documento. Omero acquista per il Vico un valore esemplare (alla «discoverta del vero Omero» egli dedica tutto un libro della Scienza nuova, il terzo). Omero rappresenta il poeta-teologo, che spontaneamente, in virtù della sua fantasia, aveva rispecchiato nei suoi miti universali ed eterni la primitiva civiltà eroica.

La scienza nuova

La Scienza nuova rappresenta una svolta importante nella storia del pensiero occidentale, perché getta le basi su cui si svilupperà lo storicismo romantico e dà origine allo studio scientifico di aspetti della cultura rimasti fino ad allora trascurati, come la mitologia, la religione, il linguaggio.

L’opera si compone di cinque libri:

  • nel primo libro, intitolato Dello stabilimento de’ principi, dopo una tavola cronologica, Vico inserisce 114 aforismi o assiomi che egli chiama «degnità», in cui condensa il contenuto della Scienza nuova;
  • nel secondo libro, intitolato Della sapienza poetica, studia la nascita, nella fase primitiva della storia umana, del linguaggio poetico, dei riti e delle istituzioni civili;
  • il terzo libro, Della discoverta del vero Omero, è dedicato alla questione omerica;
  • il quarto libro, Del corso che fanno le nazioni, rappresenta il percorso della civiltà che passa attraverso tre età, l’età degli dei, l’età degli eroi e l’età degli uomini;
  • nel quinto libro, Del ricorso delle cose umane nel risurgere che fanno le nazioni, espone la teoria dei corsi e ricorsi storici.

Bibliografia